A tutti è nota la drammatica situazione idrica in cui versano Agrigento e la sua provincia che, a causa della limitatezza delle risorse e della loro cattiva gestione, costringono gli abitanti del luogo a continui razionamenti dei consumi.
Una delle principali fonti di approvvigionamento della provincia agrigentina è il bacino idrico che si trova nell’area dei Monti Sicani, in territorio del comune di S. Stefano Quisquina.
In quello stesso bacino si trovano i pozzi di Margimuto che, contro ogni logica che vorrebbe fosse prioritario l’interesse pubblico, sono dati in concessione alla Nestlè Vera s.r.l. (oggi Sanpellegrino s.p.a).
Da essi, la società estrae l’acqua che poi viene confezionata e venduta col marchio ‘Acqua Vera – S. Rosalia’ (non è nota la quota di partecipazione azionaria della santa palermitana).
La stessa società aveva fatto istanza presso l’Ente Minerario di Caltanissetta di un aumento delle potenzialità di emungimento di altri 10 litri al secondo, che si aggiungono ai 10 litri già concessi, ma la richiesta era stata bloccata da una delibera della Giunta Regionale del 2009 che però è stata dichiarata illegittima da una sentenza del Tribunale Superiore delle Acque di Roma, a cui la multinazionale svizzera si era rivolta.
Dove sta il problema? Nel fatto che, secondo il Comune e i cittadini, l’azienda sottrae acqua alla comunità, perché i pozzi in concessione fanno parte dello stesso bacino idrico da cui si attinge l’acqua potabile per uso pubblico.
Lo studio idrogeologico più accreditato risale agli anni ‘80, epoca in cui si arrivò alla chiusura del pozzo allora in concessione alla Montecatini, che si trovava in prossimità della stessa zona della fonte della Nestlè, e che, prelevando dai suoi pozzi 40 litri al secondo, aveva provocato l’essiccamento della fonte di Capo Favara che alimenta i paesi del circondario.
La guerra con la Nestlè in difesa della propria acqua la popolazione locale l’aveva iniziata nel 2007, al momento in cui la società svizzera si era insediata, subentrando alla Società Rossini a cui, nel 2006, la Regione Siciliana aveva dato la concessione per l’emungimento di dieci litri di acqua al secondo.
Alla nuova concessionaria era stato accordato un primo aumento a 20 litri al secondo, e poi ancora un terzo, a 30 litri al secondo.
Da una dichiarazione della stessa società Sanpellegrino si desume che arrivavano a produrre 46 mila bottiglie da 2 litri l’ora. Se si fanno due conti, appare chiaro che si tratta di un prelievo di ben 92.000 litri l’ora, 25,55 litri al secondo. Se si fossero fermati ai 10 litri al secondo, non sarebbero potuti andare al di là di 18 mila bottiglie da 2 litri.
Ora, se la prima concessione poteva essere compatibile con le potenzialità dell’intero bacino idrico, i successivi aumenti rischiano di compromettere un già delicato equilibrio idrologico delle sorgenti.
Si aggiunga inoltre che a questo rischio si somma la beffa economica. Il guadagno dei siciliani, oltre allo stipendio dei 22 impiegati, sta tutto nell’astronomico canone annuo di euro 254,15 che la Nestlè ha ereditato dalla Rossini (duecentocinquantaquattro euro all’anno, avete letto bene) con l’aggiunta della esorbitante cifra di 619,75 euro di tassa per la concessione governativa. Uno sproposito!
Il risultato è che rischiamo di essere costretti a pagare la nostra acqua, che potremmo avere aprendo i rubinetti, ad una multinazionale estera che, a questi ritmi, lascerà nel giro di qualche decennio tutta la zona interna della Sicilia a bocca asciutta.
Il Comitato Civico per la difesa dell’acqua pubblica ha chiesto all’Amministrazione del Comune di S. Stefano Quisquina di opporsi con decisione a questo ennesimo atto di spoliazione del patrimonio idrico del territorio.
Il Comune ha tempo fino a oggi, 28 gennaio, per far valere le sue ragioni.
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