Non è una ricostruzione storica quella compiuta da Raniero La Valle in “Quel nostro Novecento”, presentato sabato pomeriggio nella chiesa di piazza Falcone.
E’ il racconto di una esperienza vissuta dall’autore e arricchita dalle “glosse” di altre persone che hanno incrociato il suo percorso di vita, in cui eventi piccoli e personali si intrecciano con altri di respiro più ampio.
Tre in particolare gli eventi di questo secolo da lui percepiti come fondamentali:
- il costituzionalismo democratico che ha permesso, con la Carta dell’ONU -a livello mondiale- e la Costituzione repubblicana -in Italia-, il superamento del concetto di disuguaglianza tra i popoli e tra le persone
- il Concilio Vaticano II, che trasformò l’idea di Dio come nume offeso da placare in quella di un Dio che “ha messo l’uomo in mano al suo consiglio” riconoscendogli dignità e libertà per cooperare ad una salvezza che è per tutti
- il ’68 con “la rivoluzione della vita quotidiana, l’esplodere dei movimenti, il nuovo pensiero femminista, …”
La centralità, spesso trascurata, del Concilio riguarda, come ha detto nella sua introduzione don Pino Ruggieri, non solo i cattolici, ma tutta la società italiana. Che il problema italiano sia il problema del cattolicesimo lo sosteneva nel dopoguerra Giuseppe Dossetti, quando era un uomo di punta della DC e non si era ancora fatto monaco.
Non fu quindi una rinuncia all’impegno la sua scelta di abbandonare l’ agone politico per concentrarsi, da prete, sulla riforma della Chiesa e non fu casuale il suo breve ritorno ad una dimensione pubblica nel 1994, quando il primo governo Berlusconi si apprestava a demolire la Costituzione italiana.
La commistione tra situazione socio-politica italiana e cattolicesimo è un problema antico, inizialmente legato alla formazione dello stato pontificio, ma ulteriormente complicato, invece che sciolto, dalla cessazione di questo stato nel 1870 e dal concordato del 1929 che molti avrebbero voluto che fosse tacitamente abolito dopo il Concilio Vaticano II. Il cattolicesimo ha talmente impregnato la cultura del nostro popolo che la sua evoluzione condiziona la nostra storia politica e sociale, nel bene e nel male.
Sta qui la radice dell’opposizione vicendevole, da parte dei conservatori, dentro la Chiesa e dentro la società, ai mutamenti che intervengono nell’altra parte. Ruggieri ha citato a questo proposito due esempi: gli articoli sul Corriere del conservatore Montanelli contro papa Giovanni XXIII e il Concilio, scritti -per sua stessa ammissione- su una una velina di personaggi della Curia e le piazze non solo di cattolici, ma anche di “atei devoti”, scatenate da un cardinale, presidente della CEI, contro il cattolico Romano Prodi che voleva introdurre provvedimenti legislativi più rispettosi dei diritti della persona, come nel caso delle coppie di fatto.
Eppure proprio da questa Chiesa, apparentemente solo conservatrice, è sbocciata l’esperienza del Concilio con la ricchezza delle molte voci dei vescovi che hanno indicato strade nuove e prodotto un cambiamento che sembrava impossibile.
E sempre da un uomo di Chiesa, don Lorenzo Milani, è venuto quel messaggio contenuto in “Lettera ad una professoressa” e in “L’obbedienza non è più una virtù”, che ne fece un maestro del ’68, fenomeno complesso che forse ancora non siamo in grado di capire fino in fondo.
Quanto del messaggio contenuto in questi eventi è passato ai giovani? Su questa domanda ha insistito Raniero La Valle quando ha preso la parola. Con questo libro egli ha voluto trasmettere ai giovani un patrimonio di esperienze, di riflessioni, di incontri che può contribuire a portare a termine queste “rivoluzioni” che, proprio perchè “interrotte”, devono ancora essere completate.
E se è vero, come ha affermato, che nella seconda metà del Novecento si è sanata la ferita della modernità, di una modernità che aveva tradito le sue promesse di libertà, di diritti, di pace, precipitando la società negli abissi della guerra e dei campi di sterminio, molto resta ancora da fare.
La situazione di crisi, non solo e forse non soprattutto economica, che oggi viviamo si configura come un secondo dopoguerra e non possiamo affrontarla “aspettando che passi”. Dobbiamo impegnarci in modo “virtuoso”, con guizzi di inventiva e senza farci abbagliare dalle lusinghe di ricette basate sulle vecchie ortodossie liberali.
All’interno della Costituente si discusse molto di cosa dovesse essere la Repubblica, di quali interventi dovesse assumere l’autorità statale per permettere agli uomini di realizzare la propria dignità e di affrontare le situazioni più drammatiche, come quella dell’assenza del lavoro. Proprio guardando a questa concretezza Teresa Mattei, una donna, volle che nell’articolo 3 della Costituzione fosse inserito il riferimento alla rimozione degli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano “di fatto” la libertà e l’uguaglianza dei cittadini.
Il rischio è infatti quello di un ripiegamento inconsapevole, di un ritorno indietro apparentemente indolore. Quasi non ci siamo accorti che è stato modificato l’art. 81 della Costituzione, inserendovi il vincolo del pareggio del bilancio, che potrebbe paradossalmente portare la magistratura a giudicare l’attività dello Stato. Ci siamo abituati a professioni solo verbali di fedeltà al Concilio e rassegnati a subisce passivamente il dominio di poteri incontrollabili (borse, agenzie di rating, …) che tendono a sottrarci le scelte politiche.
E’ necessario creare luoghi dentro cui possano emergere nuovi “testimoni” che rappresentino i punti di riferimento dell’oggi, come i “vecchi” lo furono per il nostro recente passato. E’ necessario recuperare la ricchezza presente “nel cuore di questa povera società italiana” per costruire un nuovo futuro.
Ho ascoltato con interesse la ricostruzione del novecento fatta da Raniero La Valle e Pino Ruggieri. Mentre loro parlavano di costituzione, di concilio, di sessantotto, mi ricorrevano alla mente le parole spread, IOR, facebook. Non ho avuto il coraggio di esternare durante il dibattito queste mie libere associazioni, ma se qualcuno volesse ipotizzare come c’entrano con le tre parole chiave del novecento (che c’entrino non ho dubbi…), sarei lieto e grato.
Santo Di Nuovo
Senza nulla voler togliere al grande interesse per le cose dette e anche considerando che lo scopo del libro non è quello di fare una enciclopedia del Novecento ma … trasmettere ai giovani un patrimonio di esperienze, di riflessioni,.. su .. “rivoluzioni interrotte”…, anche per me, forse per la suggestione della parola Novecento, è parso che ci fossero delle citazioni assenti, anche solo per dire che non se ne sarebbe parlato, ma che si sapeva che c’erano state ed erano state determinanti per quelle rivoluzioni e per il quotidiano delle persone comuni: la lavatrice, la pillola anticocezionale, la radio e la televisione sono state radice non piccola de “la rivoluzione della vita quotidiana, l’esplodere dei movimenti, il nuovo pensiero femminista, …”.
Così come gli accenni alla crisi economica e finanziaria (in Occidente) mi hanno subito fatto pensare a come siano cambiati i rapporti coloniali con i produttori di materie prime, alla globalizzazione e all’impatto dell’automazione e dell’informatica nella concentrazione del capitale, nella riduzione drammatica e permanente della forza lavoro necessaria per produrre gli stessi beni, e come anche conquiste quali l’allungamento della vita media (antibiotici, vaccinazioni, sanità) vadano considerate quando si parla dei problemi che si stanno vivendo oggi per il lavoro.