Non una relazione quella di Leopoldo Grosso sul consumo di sostanze stupefacenti tra i giovani, piuttosto un insieme di riflessioni che nascono da una lunga esperienza condotta con il Gruppo Abele.
La sede è stata il Liceo Regina Elena di Acireale dove, il 30 novembre, si è svolto il secondo incontro del corso di formazione annualmente organizzato da Libera, insieme a Liberacittadinanza e alla Diocesi. “Droga e mafia: rompiamo il muro del silenzio” questo l’argomento scelto per quest’anno, con riferimento al silenzio di stampa e televisioni a proposito di alcuni ragazzi morti o scomparsi nel territorio delle Aci.
Se il consumo delle droghe tra i giovani non accenna a diminuire, afferma Grosso, vuol dire che qualcosa non funziona negli interventi di prevenzione. Ecco quelli che a suo parere non servono:
- i messaggi unidirezionali dall’alto, del tipo spot su TV e giornali
- mettere sullo stesso piano tutte le sostanze, senza fare le necessarie distinzioni
- le testimonianze di persone uscite dalla droga: trasmettono infatti il messaggio che si possa venir fuori da questa esperienza quando si vuole
Funzionano invece:
- l’informazione ragionevole e dialogata
- l’informazione che viene da esperienze in cui i ragazzi hanno un ruolo attivo
- l’informazione tra pari (peer education)
Su questo aspetto Grosso torna più volte. I giovani sono maggiormente coinvolti dai messaggi che provengono da loro coetanei o da ragazzi poco più grandi di loro. E cita come esempio i campi estivi di Libera, tenuti sui beni confiscati, in cui i ragazzi più grandi sono disponibili a fare da tutor ai più piccoli. Crescono così gli uni e gli altri.
La relazione di aiuto, d’altra parte, è sempre più efficace quando non ci si sostituisce all’altro ma lo si affianca. Il compito dell’educatore infatti è quello di creare opportunità, i giovani posseggono sempre risorse e capacità, anche quando non sembra.
Sul loro destino pesa molto il contesto, più o meno favorevole, e sopratutto contano gli incontri. Ecco perchè è fondamentale costruire “buone relazioni”.
Il consumo di sostanze viene scelto anche per essere come gli altri (effetto imitazione), per sentirsi parte del gruppo (effetto appartenenza). E i gruppi anticonformisti sono spesso, al proprio interno, più conformisti degli altri.
Non meno grave l’effetto boomerang creato da una falsa rappresentazione sociale del fenomeno. I mass-media pubblicizzano dati (50%) riferiti a coloro che “provano” le sostanze (soprattutto cannabis), trascurando di evidenziare che si tratta in genere di comportamenti occasionali e reversibili. Nulla a che vedere con il 5% di giovani per i quali il consumo diventa l’interesse principale con un conseguente disinteresse per tutto il resto (sindrome amotivazionale).
Questi comportamenti “irreversibili” si verificano prevalentemente in presenza di situazioni difficili in cui problemi familiari, difficoltà di comunicazione, insuccesso scolastico creano una spirale negativa.
L’esuberanza e la voglia di protagonismo dei ragazzi devono trovare sbocco in attività espressive e sportive che li stimolino e li valorizzino. Anche il desiderio di fuga dalle situazioni negative può essere intercettato e trasformato facendo leva sul desiderio di avventura, caratteristico dell’età.
Quando il consumo o le attività di piccolo commercio (Grosso evita deliberatamente di parlare di spaccio) avvengono a scuola, in genere le reazioni sono due, entrambe errate. Si finge di non vedere oppure si crea il caso eclatante, coinvolgendo le forze di sicurezza e i cani poliziotto.
Questi casi vanno invece trattati con estrema discrezione, anche per non creare stigmatizzazioni. La scuola tuttavia deve porsi sempre il problema del consumo possibile e non può affidarsi alla improvvisazione. Deve dotarsi di un pensiero e di procedure ben definite, a garanzia degli studenti e degli insegnanti.
La famiglia va coinvolta per legge, trattandosi di minorenni, ma va anche accompagnata (counselling), anche perchè il suo intervento può essere negativo, perchè essa è spesso parte del problema. Relazioni impostate male possono aver creato nei figli “microtraumi cumulativi costanti”, con conseguenti ferite difficilmente sanabili.
Nella società odierna, d’altra parte, la famiglia è sempre più sola ed ha bisogno di potersi confrontare. Nessuno degli enti educativi può farcela da solo. Agire in sinergia tra loro e con il territorio è necessario per fronteggiare la diversa, particolare vulnerabilità di ogni ragazzo.