Perchè proprio a Kingston, in Giamaica? Forse perchè questa isoletta delle Antille, concentrato di violenza passata e presente, è il luogo che meglio può esprimere la sfida di trasformare gli uomini in fratelli.
In questa terra, la cui popolazione locale fu distrutta dai colonizzatori europei e che adesso è abitata dai discendenti degli schiavi, si è tenuta a maggio di quest’anno la “Convocazione internazionale ecumenica sulla pace”, promossa su iniziativa del Consiglio Ecumenico delle Chiese.
Ne ha parlato sabato sera a SS. Pietro e Paolo, Gianni Novelli, direttore del CIPAX, e autore, insieme a Luigi Sandri di un volume, Ecumenismo e pace (Icone, 2011), in cui sono riprodotti e tradotti i documenti dei 146 gruppi di lavoro realizzati dai mille partecipanti.
A conclusione dei lavori di Kingston, nessun documento definitivo. Solo un messaggio sulla pace giusta, perchè solo la pace, e mai la guerra, può essere giusta e non può esserci pace senza giustizia, vale a dire senza “liberazione dalla paura e dal bisogno, dalla discriminazione e dall’oppressione.”
Quattro le tematiche principali affrontate: pace nella società, pace con la terra, pace nell’economia e pace tra i popoli. Attenzione quindi alla famiglia, dentro la quale si esercita spesso la violenza, e alle categorie deboli, come le donne e i bambini; attenzione ai temi dell’ambiente e dell’ecologia; alle disuguaglianze tra le classi e le nazioni, alla “sregolata crescita economica che il sistema neoliberale promuove”; attenzione alle lotte condotte dai popoli per la libertà, la giustizia e i diritti umani.
Un appello essenziale condiviso dai vari gruppi presenti a Kingston, molto diversi tra loro nell’approccio al tema della pace: dai pacifisti radicali come mennoniti, quaccheri, amish, che pongono la non violenza come questione di fede, alle chiese coinvolte nei conflitti, anche attraverso la presenza di cappellani militari.
Tutti comunque si sono messi in discussione, consapevoli di dover analizzare “le radici anche economiche della violenza” per costruire nuovi modelli di convivenza e di pace e di dover affermare ad alta voce che bisogna “smettere di usare la religione come pretesto per giustificare la violenza”.
Molto importante la presenza delle Chiese indigene, portatrici della loro cultura (come già nel culto della Vergin morenita di Guadalupe) e di una loro teologia, arricchita dalla presenza di molte donne teologhe.
Da Kingston 2011 ad Assisi 1986. Un passo indietro di 25 anni, compiuto da Novelli, che ha
voluto ricordare il venticinquesimo anniversario della giornata mondiale di preghiera per la pace voluta da Giovanni Paolo II, il momento più alto di un pontificato non sempre promotore di scelte condivisibili.
In quell’occasione, il 27 ottobre, la cittadina umbra si trasformò in una immensa cattedrale orante, in cui edifici civili e religiosi o piccole piazze si trasformarono in luoghi di preghiera delle varie comunità religiose, ognuna con i propri riti.
Il momento conclusivo, vissuto nella cornice del chiostro della Basilica dedicata a Francesco, il santo della mitezza, fu segnato da una preghiera comune e dalla consegna di un simbolico ramoscello di ulivo.
Non solo islamici, buddisti ed ebrei, ma anche indù, scintoisti, zoroastriani, sick, rappresentanti delle religioni tradizionali africane e amerindie, e naturalmente tutti i cristiani, perchè la pace è valore cardine di tutte le religioni.
Da allora questo momento è stato ripetuto ogni anno, ma sempre più “mummificato”, fino a
trasformarsi, quest’anno, in un’occasione di confronto “filosofico” sulla ricerca della verità, a cui hanno partecipato anche i non credenti. Ma il momento di preghiera non c’è stato. Per pregare insieme, cristiani e non cristiani, è necessario riconoscere a tutte le religioni pari dignità e accettare quindi una circolarità che non necessariamente abbia sempre al centro il papa. Ed oggi la Chiesa di papa Ratzinger non sembra esserne capace.
Non è un caso forse che anche alla Convenzione giamaicana i cattolici siano stati una sparuta minoranza. Eppure nella storia della Giamaica sono evidenti i comportamenti violenti che la Chiesa ha colpevolmente tollerato: l’olocausto africano, in primo luogo, e lo sfruttamento, da parte degli Europei, delle locali materie prime (canna da zucchero e adesso caffè e banane), a cui oggi si è aggiunto l’uso degli approdi per la circolazione delle droghe.
Qui le Chiese devono pronunciare ad alta voce il loro mea culpa perchè “siamo consapevoli che i cristiani siamo stati spesso complici di sistemi di violenza, ingiustizia, militarismo, razzismo, separazioni di casta, intolleranza e discriminazione”. Ma anche rimettersi sempre umilmente in cammino per fare diventare credibile l’annuncio cristiano della pace.
Dopo Kingston, il prossimo appuntamento sarà quello di Busan in Corea, nel 2013.
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