8311 operatori biologici, 226 mila ettari coltivati secondo questo metodo, sono i dati che fanno della Sicilia la regione leader delle aziende
La prima preoccupazione dei consumatori è quella di essere sicuri della qualità del prodotto. I dati disponibili, da questo punto di vista, sono incoraggianti. Un’ azienda convenzionale, infatti, riceve mediamente un’ispezione ogni 12 anni e 8 mesi, mentre una biologica ogni 9 mesi. Inoltre, sull’insieme dei controlli (possono essere effettuati anche da organismi privati) vigilano sia l’assessorato regionale siciliano alle Risorse Agricole, che lo stesso Ministero delle Politiche Agricole.
Viste le dimensioni del fenomeno, è “naturale” che esso attiri l’attenzione di operatori – truffatori che cercano di speculare, soprattutto se operano in strutture non esclusiviste bio, ma promiscue. Nella maggior parte di questi casi viene dichiarata una maggiore produttività dei terreni in modo da poter affiancare alla produzione biologica quella proveniente da campi ad agricoltura convenzionale; terreni che possono distare pochi chilometri dalla ditta bio o essere, addirittura, collocati dall’altra parte dell’oceano.
E’ accaduto, circa un anno fa, a Cassibile (Sr) dove i Nas hanno sequestrato più di 130 tonnellate di limoni, valore complessivo 300.000 euro, importati dall’Argentina. Al momento dell’irruzione gli operai erano intenti, come scrivono su La Repubblica del 22.09.11 Valeria Ferrante e Lorenzo Tondo, “ad applicare l’etichetta ‘prodotto biologico’ su centinaia di cassette di agrumi argentini con destinazione Italia e Europa del nord”.
Una truffa perpetrata certamente verso i consumatori, ma anche contro tutti gli agrumicoltori siciliani, e non solo bio. Anche la mafia cerca di inserirsi in questo importante segmento del mercato innanzitutto cercando di sfruttare i cospicui finanziamenti (dai 200 agli 800 euro per ettaro, secondo la coltura) erogati per la conversione dei terreni da coltura convenzionale a biologica.
Anche in questo caso è importante il buon funzionamento del sistema dei controlli, le aziende che hanno “barato” una volta scoperte, infatti, perdono tutti i contributi sino a quel momento ricevuti. Non stupisce, infine, che in Sicilia possano esistere aziende, come l’Abbazia Santa Anastasia (viticoltura biodinamica) gestita da Francesco Lena “finito in carcere con l’accusa di associazione mafiosa e ritenuto prestanome del capo di Cosa nostra”, Bernardo Provenzano.
Truffe degli speculatori e interventi della mafia riguardano, ovviamente, tutte le attività produttive; non si tratta, perciò, di rinunciare o avere “paura” del biologico che, al contrario, proprio per il maggior numero di controlli cui è sottoposto é decisamente più protetto di fronte a tali infiltrazioni.
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