Si possono elaborare nuove strategie di contrasto alla criminalità organizzata a partire da illeciti tributari? A questa domanda cerca di dare risposte il secondo rapporto della Fondazione RES: “Consapevoli che il contrasto alla criminalità mafiosa non possa avvenire solo con il sistema repressivo, si vuole porre l’attenzione al contrasto dell’area grigia, cioè a quello spazio in cui si dispiegano rapporti di scambio e di collusione”.
“È noto che la criminalità organizzata si inserisce nel mercato legale assumendo i modelli tipici dell’impresa: la cerniera tra le attività illegali e quelle legali è rappresentata proprio dal riciclaggio del denaro di origine illecita, spesso attuato mediante operazioni finanziarie che danno luogo a fenomeni di evasione e di elusione fiscale, sia nazionale che internazionale”: false fatturazioni, fittizie importazioni, compravendita simulata per occultare l’effettivo proprietario.
Il GAFI (Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale) ha elaborato un modello del fenomeno del riciclaggio, basato su tre momenti
- collocamento dei capitali illeciti all’interno del sistema finanziario;
- movimentazione di questi capitali mediante operazioni (trasferimenti, bonifici, prestiti, pagamenti) che impediscono il collegamento tra il denaro e la fonte illecita, producendo un effetto di camuffamento;
- integrazione, cioè inserimento dei mezzi finanziari nel ciclo economico legale;
Gli schemi e le tecniche adoperati per il riciclaggio sono molto simili a quelli adoperati per l’evasione fiscale. In entrambi i casi, per esempio si fa ricorso alle false fatturazioni o all’interposizione fittizia, vale a dire l’occultamento della reale titolarità dei beni, attribuiti ad altri soggetti. In entrambi i casi si tende a collocare i capitali nei cosiddetti paradisi fiscali, caratterizzati da un rigoroso segreto bancario.
Molti Paesi OCSE stanno progressivamente adeguando la loro legislazione alle misure individuate dal GAFI nelle 49 raccomandazioni, nonché agli standard elaborati dal Global Forum in materia di trasparenza e scambio di informazioni in materia fiscale.
Con un decreto del 2010 (art. 36 del D.L. n. 78) l’Italia ha individuato una lista di Paesi a rischio di riciclaggio. Ma per una più efficiente azione di contrasto ai due fenomeni (riciclaggio ed evasione fiscale) si potrebbe fare qualcosa di più: dare accesso diretto, da parte dell’Amministrazione finanziaria, ai dati e alle informazioni reperite dalle autorità antiriciclaggio, attualmente coperte dal segreto d’ufficio.
Si auspica inoltre la possibilità di impiego, nella lotta alla criminalità organizzata, dei tradizionali poteri istruttori adottati dall’Amministrazione finanziaria per esercitare l’attività di accertamento: l’accertamento sintetico del reddito, il cosiddetto “spesometro” (introdotto nel 2011).
Da quasi trent’anni esiste una norma (L. n. 646 del 1982), non adeguatamente utilizzata, che prevede la possibilità di sottoporre a verifica fiscale i soggetti nei cui confronti sia stata emanata una sentenza di condanna, anche non definitiva, per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso, ovvero sia stata disposta, con provvedimento anche non definitivo, una misura di prevenzione.
Al Capone è stato incastrato attraverso un accertamento fiscale. Non possiamo fare a meno di constatare che a Catania si privilegiano altri accertamenti, per esempio quelli relativi ai migranti che “deturpano” con le loro mercanzie il salotto cittadino. Si evita invece di andare a fondo in casi di manifesta illegalità, come dimostra l’amaro servizio delle Jene (12/10/2011) sulle bische clandestine.