Il laboratorio, nato come un progetto proposto da Ninni Fussone, “sociologa con la passione per i tessuti” e presidente dell’associazione, è stato poi ampliato dall’inserimento di un corso professionale dell’Anfe e ha coinvolto alcuni detenuti che hanno potuto così acquisire delle abilità spendibili anche in futuro fuori dal carcere.
Non meno significativo è stato il beneficio psicologico offerto dal lavoro manuale. La lavorazione del feltro richiede infatti forza di braccia per cardare la lana, lavorarla con acqua calda e sapone di Marsiglia e poi rollarla a mano o con bastoni di legno. Un’attività fisica liberatoria che ha avuto una efficacia terapeutica anche su alcuni detenuti con storie difficili e disturbi del comportamento.
La creazione della cooperativa, di cui fa parte anche una detenuta (altri potrebbero essere assunti come lavoratori), è una sfida. Riuscire a commercializzare ciò che viene prodotto non è semplice. Siamo in presenza di prodotti di nicchia, che hanno un costo e quindi un prezzo non indifferente. I più facili da mettere su mercato sono gli oggetti piccoli che potrebbero essere utilizzati come gadget e quindi commissionati da aziende o banche per i loro clienti. Anche il mondo della moda potrebbe utilizzare applicazioni in feltro per decorare i propri prodotti. E con il feltro possono essere realizzati anche vasi e altri complementi di arredo.
Nonostante però l’interesse dimostrato da alcuni stilisti, tra cui Marella Ferrera, e da designer anche stranieri, come Cludy Jonstra, nonostante il sostegno promesso da don Ciotti e la partecipazione ad alcuni saloni nazionali, la commercializzazione stenta a partire. La commessa giusta non è arrivata e la sfiducia è in agguato, soprattutto per chi sta ancora dietro le sbarre e ha riposto nel progetto una speranza che rischia di essere delusa.
Più attrezzati a resistere sono i soci, o piuttosto le socie, che vivono in libertà e hanno una formazione di tipo ambientalista. L’utilizzo della lana delle pecore locali, risorsa a km zero, è accompagnata infatti dalla consapevolezza di sottrarre questo prodotto alla discarica, dove verrebbe trattato come un rifiuto speciale, e quindi costoso. Nessun danno subiscono gli animali, che hanno bisogno di essere tosati ogni anno e forniscono un prodotto naturale al 100% e perfettamente rinnovabile.
Tra i lavori presentati nella collezione Coperte di aManiLibere c’è anche la coperta dei ricordi. Altre simili si possono creare riutilizzando vecchi tessuti, cappotti e abiti di persone care scomparse, coniugando così il riuso e la valorizzazione dei legami affettivi.
Le capacità inventive quindi ci sono, così come i valori etici. C’è anche una dichiarata voglia di imprenditorialità. Manca ancora quello scatto che permetta di fare un salto di qualità e renda realizzabili, per i detenuti, le aspettative che il progetto ha fatto nascere in loro.
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