Sono stati presi in esame non solo le liste d’attesa e i servizi essenziali di emergenza e urgenza, oncologia, nascita, trattamento del diabete e dell’artrite reumatoide, ma anche la capacità di programmazione, governo della spesa, valutazione, partecipazione e coinvolgimento dei cittadini.
Le fonti sono state diverse: statistiche e studi di materiali istituzionali, monitoraggi, catalogazione di segnalazioni, banche dati.
Ad esempio, per lo studio sui mezzi di soccorso e il 118 si è fatto riferimento ad una ricerca condotta dal Senato nel 2011, nella quale le Regioni che presentano le maggiori criticità per il mancato contatto radio tra le Centrali operative e i mezzi di soccorso risultano essere Abruzzo, Toscana, Campania e Sicilia; mentre, il mancato collegamento tra le Centrali operative e gli ospedali di riferimento interessa le Regioni Umbria, Basilicata, Campania, Calabria e Sicilia, (pag. 72).
I tempi di attesa al Pronto soccorso e la presenza del servizio di mediazione culturale sono stati oggetto, invece, di monitoraggio civico: si è rilevato che a livello nazionale, per l’accesso al triage si aspetta da pochi minuti a mezz’ora, un codice giallo può essere preso in carico fino a 5 ore dopo il suo arrivo al Pronto soccorso, mentre un codice verde può attendere fino a 12 ore. Quanto al servizio di mediazione culturale, esso è presente solo in un terzo delle strutture.
Sono però segnalate anche alcune “buone pratiche rivolte sia ai cittadini di diversa nazionalità, per assicurare loro le informazioni basilari, sia ai medici per effettuare una corretta diagnosi: servizio telefonico multilingue attivo 24h/24h; presenza di vocabolari in diverse lingue; glossari con immagini per identificare il grado del dolore ed il tipo di trauma” (pag. 92).
I dati sull’uso improprio del taglio cesareo fanno invece riferimento a indagini conoscitive abbinate a proposte di legge. L’Italia è al primo posto tra 26 Paesi europei per ricorso al taglio cesareo, con una percentuale media del 38%, mentre l’Organizzazione Mondiale della sanità considera fisiologico un 15-20%. Anche in questo caso le differenze tra le Regioni sono significative: il primato in negativo spetta alla Campania (62%) e alla Sicilia (53%); le zone più virtuose il Friuli-Venezia-Giulia e Trento (23%).
Dall’esame del Rapporto – che contiene molte altre informazioni interessanti – si trae la conclusione che oltre 10 anni di federalismo sanitario abbiano reso più evidenti le differenze tra le Regioni senza alcun effetto migliorativo sui servizi che presentano criticità di spessore. Ci si riferisce – ma non solo – al settore della non autosufficienza, alla gestione delle malattie rare, alle liste d’attesa, al regime dei ticket: “Ogni Regione ha un sistema diverso, c’è chi applica solo quote fisse, chi fa pagare prestazioni aggiuntive, chi le modula a seconda del reddito e chi a seconda delle prestazioni, con regimi di esenzioni diversi tra di loro” (pag. 10. Sulle diverse tariffe regionali vedi anche lo studio di Altroconsumo).
Ad aggravare la situazione si sono aggiunti
E’ il risultato più evidente dell’uso distorto di un federalismo che avrebbe dovuto razionalizzare le risorse e migliorare l’offerta sanitaria, anziché aumentare le differenze e gli ostacoli burocratici per l’accesso ai servizi fuori Regione (sull’aumento degli sprechi determinati dal federalismo vedi l’articolo su Saluteme).
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