Il 15 gennaio 1968 un terremoto colpì la valle del Belice, rase al suolo le povere case di Gibellina, Montevago, Salaparuta e Poggioreale. I morti furono trecentosettanta, migliaia i feriti, settantamila gli sfollati. L’evento è stato raccontato infinite volte ma non nell’ottica scelta da Davide Camarrone, giornalista rai e scrittore, con il suo “I maestri di Gibellina” edito da Sellerio, presentato giorni fa nei locali della Feltrinelli di Catania.
E’ il racconto della ricostruzione di Gibellina fatto dagli artigiani che collaborarono con i grandi artisti, quelli che nel paese lasciarono le loro opere. Un libro inchiesta sulla storia della ricostruzione, sull’incontro tra artisti e “mastri d’arte”, sul loro lavoro fianco a fianco nelle officine. E ancora il racconto dell’utopia di una città nuova e diversa. Fabbri, scalpellini, falegnami, marmisti del Belice lavorano con Alberto Burri, Carla Accardi, Andrea Cascella, Pietro Consagra, Mimmo Paladino, Arnaldo Pomodoro, Mario Schifano. E raccontano la loro straordinaria esperienza. A volere il miracolo di una ricostruzione che è creazione d’arte fu Ludovico Corrao, eletto sindaco proprio nel 1968 e primo cittadino per trent’anni ancora. Chiama gli artisti contro il parere di chi dice che occorrono case e non opere d’arte. Con lui si schiera Leonardo Sciascia.
Scrive Camarrone: “L’esperimento del popolo di Gibellina, la sfida che fu chiamato a reggere non volle essere quella della semplice riedificazione, ma quella della ricostruzione della speranza negata: «ricostruire la memoria del futuro e non la memoria del passato» imprigionando il passato con tutta la sua poesia e con tutta la miseria nel Cretto di Burri. Perciò Ludovico Corrao, il coraggioso sindaco, chiamò, più che le ruspe i piani urbanistici e le speculazioni, artisti da tutto il mondo per erigere un paese in cui il linguaggio evocativo della tradizione fosse sostituito dal linguaggio suscitatore di opere nuove dell’arte attuale. Fare di Gibellina, attraverso la presenza fisica dell’arte a ogni angolo di strada, un centro pulsante di creazione e di cultura. E non per consolare con la bellezza. Ma per spingere a nuove attività il vecchio sapere delle mani dei contadini e degli artigiani. Fu questo l’esperimento. Stabilire se sia o no riuscito l’esperimento, questo non è tra gli scopi della presente inchiesta. Ma documentare di un’atmosfera, dar conto di uno spirito”.
Perché leggere I Maestri di Gibellina? Risponde Il giornalista Giuseppe Lazzaro Danzuso intervenuto nel corso della presentazione (Gibellina, la Sicilia e il mondo): “Innanzitutto per evitare di cadere nella ritualità della nostra eterna, snobistica, pilatesca, autoflagellazione. E recuperare l’orgoglio perduto. Il libro, ripercorrendo le vicenda di quella città, ce le mostra finalmente in maniera limpida, meravigliosamente cronachistica, per ciò che realmente è stata, senza lo stravolgimento delle opinioni, delle convinzioni. Delle prevenzioni. Dei luoghi comuni. È anche un libro che ci aiuta a non cadere nella trappola di chi vuol farci sempre sentire sconfitti in partenza, di considerare ogni iniziativa nata in Sicilia come ineluttabilmente destinata al fallimento, al degrado”.
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