Un secondo timore riguarda la definizione del contenzioso riguardante l’area della Purità in cui, sempre per conto della Facoltà di Giurisprudenza, all’inizio del 2000 l’Università di Catania aveva cominciato a costruire, in una zona ad altissima densità archeologica, due grandi aule da 600 posti l’una.
Se le due operazioni dovessero andare in porto, si centrerebbero diversi risultati assolutamemte negativi per il quartiere che verrebbe privato di una vasta area che, opportunamente attrezzata, potrebbe diventare, almeno in parte, un grande centro di aggregazione e di servizi, di cui risulta del tutto privo.
La paventata ripresa della costruzione delle due aule invece, non solo scaricherebbe sulla zona un’ulteriore enorme massa di studenti che porterebbe il traffico nel quartiere al limite estremo della saturazione, ma renderebbe impraticabile l’antico progetto di ricavare, proprio in quell’aria, un percorso attrezzato che consenta la fruizione dei numerosi siti archeologici di epoche diverse su di essa insistenti.
Su questo intervento nell’area della Purità il Comitato ‘Antico Corso‘ ha prodotto un dossier che dimostra con chiarezza come il Comune di Catania abbia usato in modo strumentale la situazione di degrado edilizio e sociale del quartiere per ottenere i finanziamenti comunitari del progetto Urban per poi stornarli a favore di strutture utili solo all’Università.
Si veda il caso classico del recupero e della ristrutturazione di un edificio in via Dusmet che doveva servire per realizzare un centro linguistico multifunzionale da destinare principalmente ad un’utenza di persone immigrate, ma che di fatto è usato solo per l’Università.
Analoga l’operazione che ha riguardato la Purità: è stata individuata come area in cui effettuare “recuperi di edifici e spazi pubblici destinati ad ospitare i servizi previsti dal progetto Urban” ma ha finito anch’essa per essere utilizzata solo dall’Università.
Il progetto di riutilizzo, messo a punto dall’arch. De Carlo, conteneva inoltre diversi aspetti che lo rendevano incompatibile con la destinazione urbanistica prevista dal PRG allora vigente, per cui sarebbe stata necessaria l’approvazione di una variante.
Esso si configura infatti non come restauro o ripristino delle costruzioni preesistenti ma come una nuova costruzione, la cui volumetria inoltre sarebbe molto più ampia dei ruderi che, nel frattempo, sono già stati demoliti.
Malgrado tutte queste irregolarità, la Commissione edilizia, con soli due voti contrari e un’astensione, approvò il progetto per cui a metà del 2000 fu aperto il cantiere.
Le polemiche suscitate da queste forzature e l’intervento della Sovrintendenza portarono successivamente all’interruzione dei lavori, mentre ancora si stavano gettando le fondamenta della prima delle due mega aule previste.
Adesso si teme che l’Università possa vedere riconosciute le sue ragioni e riprenda quindi i lavori da dove erano stati interrotti, per portarli a termine.
Si tratta dunque di un tornante decisivo per l’Antico Corso, autentico libro aperto sulla storia della città, come tanti altri vissuto in uno stato di assoluto abbandono e degrado, fino a quando, nel corso degli anni Settanta, il Comune cedette gratuitamente l’ex monastero dei Benedettini all’Università, per farvi insediare la Facoltà di Lettere e l’allora Magistero (oggi Facoltà di Scienze della formazione), in cambio dell’impegno a recuperare l’intero ex complesso monastico. Impegno che l’Università, occorre dirlo, ha onorato.
Questo insediamento aveva suscitato grandi speranze e aspettative, si pensava che potesse diventare il volano per la rinascita del quartiere, attraverso il suo reinserimento nel tessuto vivo della città.
Ma la presenza dell’Università è rimasta come un corpo estraneo rispetto al quartiere e ha ben presto mostrato i suoi limiti e le sue contraddizioni, anzi i suoi effetti dannosi.
Innanzitutto si è ampliata a macchia d’olio, continuando la sistematica occupazione di tutti i grandi complessi edilizi storici che vengono così sottratti ad un possibile utilizzo sociale a servizio del quartiere.
Non ha innescato una rinascita economica, ad eccezione di qualche piccola attività commerciale e di fornitura di servizi.
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Ad esclusione dei suoi insediamenti, l’Università non si è inoltre fatta carico di promuovere un più ampio piano di recupero e valorizzazione dell’edilizia esistente -ad esempio il recupero del quasi del tutto dismesso ospedale s. Marta e della parte più antica dell’Ospedale Santo Bambino- anche in funzione della domanda di alloggi da parte degli studenti.
La crescente domanda di case da parte degli studenti fuori sede ha fatto invece esplodere il mercato degli affitti, costringendo molte famiglie ad andare via, mentre la totale assenza di parcheggi e di mezzi
Questa onnivora Università sembra in sostanza ignorare l’esistenza dei problemi del quartiere e dei suoi stessi studenti.
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