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Marzamemi e il festival, un pub senza frontiere

Il business avanza, il festival arretra, la frontiera si sposta, si avvicina sempre di più, incombe. Almeno quella tra il ristorante la Cialoma e lo schermo sul quale si proiettano i film. E’ stato preso d’assedio ancora una volta il piccolo borgo di Marzamemi dal nome dolce come il marzapane col quale condivide le prime due sillabe dal suono arabo, “marza”. Non erano, purtroppo, tutti cinefili i frequentatori della piazza Regina Margherita nei giorni del Festival di Frontiera, giunto alla sua undicesima edizione e appena concluso il 30 luglio scorso. C’erano invece, i troppi avventori che dai tavoli della piazza chiacchierando tra loro, ordinavano il pesce al cartoccio o la pasta con le vongole in un brusio se non assordante, sicuramente sordo, continuo e ben sovrapposto all’audio del film.
C’erano i tanti giovani chiamati più dalla movida – un panino, un bicchiere e due passi sotto le stelle – che non dalla passione per i corti proiettati nella Loggia del Palazzo di Villa Dorata, a ridosso del frastuono travestito da musica dei pub e dei bar. Inutile cercare riparo nel cortile arabo dove si proiettavano Lampi sul Mediterraneo (corti fuori concorso e fuori formato), in condominio con altri tavoli ed altri occasionali e distratti commensali paganti.
Marzamemi, insomma, è stata trasformata, quest’anno come mai, in un pub a cielo aperto, in un grosso punto di ristorazione con buona pace della magia della piazza e di quella dello schermo. Tantè. E’ il guaio delle fruizioni di massa? Mah! Forse; ma avessero apprezzato in tanti non avremmo protestato. Non siamo di quelli che “buoni se pochi”. Non si tratta di essere snob, di essere per le nicchie sempre e comunque. Forse abbiamo il torto, o il merito, di amare il cinema. Si adombra davanti a queste critiche Nello Correale, ideatore e direttore artistico del Festival, costretto a giostrarsi tra mille difficoltà, il reperimento di finanziamenti che si assottigliano anno dopo anno, la ricerca di sponsor (molti hanno defezionato), l’acquisizione di patrocinanti politici.
E veniamo al festival ma sarebbe meglio parlare di rassegna, visto che si tratta per la maggior parte di film già visti. Come il vincitore del concorso, il mediocre “Notizie sugli scavi” di Emidio Greco, pregevole solo per l’interpretazione magistrale di Giuseppe Battiston. Avremmo volentieri visto meglio al livello più alto del podio “La donna che canta”, splendido film canadese di Denis Villeneuve che ha invece avuto solo una menzione speciale.
Meglio “Con-corto”, la serie dei corti proiettati all’interno della Loggia del palazzo Villa Dorata (peraltro restaurata benissimo) che ha visto l’incoronazione di Pizzangrillo di Marco Gianfreda. Da non dimenticare il bellissimo La calza verde, tratto da un idea di Cesare Zavattini e animato da Roberto Gavioli.
E alla fine, dopo la premiazione, dopo l’interessante documentario La voce di Rosa, tributo di Nello Correale alla cantante Rosa Balistreri, come omaggio all’unità di Italia viene proiettato “Senso” di Luchino Visconti, con un’ Alida Valli e un Farley Granger, senza voce come pesci, coperti dal ronzio della piazza. Chiediamo a tanti quale film dell’undicesima edizione del festival è stato premiato. Nessuno risponde. Nessuno ha seguito. Fossero venuti per la sagra del tonno sarebbe stata la stessa cosa. 
 

Argo

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  • Magistrale ricostruzione dello scempio senza ritegno operato dai vari commercianti contro la rassegna cinematografica e dell'aggressione alla originaria autentica Marzamemi,deturpata da uno stuolo di voraci speculatori, che cementificano a tutto spiano, con la complicità di proprietari,amministratori,politici,notai,professionisti,imprese,favoriti dall'assenza di qualsiasi controllo di legalità.E nessuno denuncia il fatto che hanno fatto sparire il porticciolo dei pescatori, per trasformarlo in molo per gli attracchi turistici.
    Così, il festival di Marzamemi è già morto.

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