Mentre l’orchestrina suonava “Gelosia”, un piccolo pregiudicato veniva ucciso da un rivale in amore. L’educazione professionale di un cronista può cominciare così, con il racconto di un banale delitto d’onore in un articolo riscritto quasi del tutto, titolo compreso, dal direttore del giornale. L’orchestrina in realtà era una cassetta in un mangianastri, trasfigurata dalla fantasia immaginifica di Pippo Fava, allora direttore del Giornale del Sud. Il giovane cronista, oggi giornalista affermato, si chiamava Antonio Roccuzzo.
Antonio Roccuzzo è stato parte di quel gruppo di giornalisti che si è formato accanto a Pippo Fava al Giornale del Sud, e che poi ha costituito il nucleo centrale della redazione dei Siciliani. Di quell’esperienza racconta in “Mentre l’orchestrina suonava Gelosia” edito da Mondadori nella collana Strade blu.
Non si tratta di un libro su Pippo Fava; non è un racconto delle vicende che hanno portato all’assassinio del giornalista. È invece un libro di memorie, un diario del ruolo e degli eventi vissuti da Roccuzzo durante i quattro anni di lavoro con direttore Fava, e di quel che accadde alla redazione dei Siciliani dopo la sua morte.
Sono memorie narrate senza compiacimento di sè, senza manie di protagonismo e lasciando spazio al ricordo di tutti coloro che, in una maniera o nell’altra, hanno contribuito a scrivere una pagina importante dell’informazione a Catania, ma che non nascondono la fiererezza di aver fatto parte di quell’esperienza.
Non è il libro adatto a chi voglia farsi un quadro chiaro della situazione politico economica della città a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, poiché tende a dipingerne un affresco, più che a riportare fatti e stabilire connessioni. Si tratta però di una lettura gradevole per chi di quegli anni conservi un ricordo o per chi, più giovane, desideri immergersi in una vicenda personale senza aspettarsi approfondimenti troppo puntuali, e osservando sullo sfondo i connotati di una città e di una società non irriconoscibili nella Catania di oggi.
Caro Argo, vi ringrazio dell’attenzione al mio libro e alla segnalazione gentile che ne avete fatto al vostro pubblico. Credo che abbiate colto lo “spirito” del mio libro. La memoria intima di quel giovane cronista. Certamente il mio non voleva essere un “saggio” oggettico sulla situazione “politico-economica” di Catania; è appunto, il racconto di formazione di quel gruppo di ragazzi ed è filtrato dalla mia esperienza “estrema” in quel contesto. Vi ringrazio di aver colto il messaggio di fondo e mai esplicito e rivolto soprattutto ai ragazzi “in cerca di parole libere”: quello di raccontare una Catania “lontana” che spiega i problemi irrisolti della città com’è oggi. Antonio Roccuzzo