L’Italia è l’unico tra i grandi Paesi europei in cui gli stanziamenti per l’istruzione diminuiscono costantemente, da almeno dieci anni a questa parte. La situazione è grave soprattutto al Sud, ma nessuno si preoccupa del fatto che il ristagno del nostro Mezzogiorno è frutto anche dello scarso bagaglio culturale della popolazione.
Se le bozze della “supermanovra” finanziaria che circolano oggi sono verosimili, la scuola italiana – già tanto malridotta – subirà altre sforbiciate feroci: nessuna assunzione, forti riduzioni di docenti, licenziamenti di precari, accorpamenti di scuole e di classi, tagli al sostegno, blocco delle retribuzioni.
Le Regioni non sono da meno: nella Campania che rottama 2200 insegnanti Caldoro chiude, nonostante i fondi disponibili in cassa, il progetto “scuole aperte” voluto a suo tempo dal centrosinistra, per sottrarre d’estate i ragazzi alla strada nelle zone a più alta infiltrazione camorristica.
Nel bilancio provvisorio della Regione Sicilia per il 2011 i colpi di cesoia hanno riguardato soprattutto l’istruzione (- 49 milioni di euro) e i beni culturali (- 26 milioni). I finanziamenti del Fondo sociale europeo per l’istruzione riservati al Sud non riescono ad essere utilizzati; abbiamo speso però 868mila euro per far conoscere la caponata nel mondo. A Palermo 187 scuole su 281 hanno “problemi strutturali”: in altri termini, cadono a pezzi.
Questi dati si correlano significativamente con il numero di biblioteche pubbliche ogni 10.000 abitanti: Valle d’Aosta 4,5; Trentino-Alto Adige 3,9; Campania 1,4; Sicilia 1,7. Eppure le famiglie che non hanno nemmeno un libro in casa sono in Sicilia il 20,2%, in Trentino-Alto Adige il 2,8%.
Si possono trattare le teste (e i corpi) dei nostri figli con la mannaia del contabile? Si può accettare di sentir parlare dell’istruzione come di un lusso che un Paese del G8 non si può permettere?
Il destino dei nostri ragazzi è segnato dal codice postale. Tutti i dati disponibili permettono di misurare la grande difficoltà degli istituti scolastici soprattutto nelle città meridionali, dove i figli delle sgangherate periferie scontano segregazione e degrado, dove l’uso del dialetto si coniuga alla scarsa familiarità con l’italiano, dove prevale una cultura che si pone in contrasto con l’organizzazione civile dello Stato, dove interi nuclei familiari vivono in modo del tutto diverso da quella che la scuola considera la modalità normale di esistenza, dove la progettazione territoriale non c’è e la politica è affarismo e clientela. Chi diviene adulto in ambienti del genere è più che mai prigioniero di destini di ruolo. Non dimentichiamo che se i bambini e ragazzi poveri sono in Italia 1.809mila, il 70% di loro risiede al Sud.
L’ignoranza costa assai. Gli economisti ci ricordano, inascoltati, che il tasso di crescita del reddito procapite di un Paese aumenta dell’1,7% ogni 100 punti di incremento del punteggio che misura le competenze degli studenti.
Se decidessimo di investire per far crescere le competenze dei ragazzi del Sud con servizi di qualità, assumendo per loro i docenti più bravi, diffondendo il tempo pieno, moltiplicando le occasioni culturali, dimezzando la dispersione, nel 2025 avremmo riallineato il reddito pro capite, chiudendo il problema del divario territoriale che accompagna questo Paese da 150 anni.
Le scelte politiche oggi vanno nella direzione opposta, se nei quartieri di Palermo o di Catania da contendere alla mafia i tagli agli organici e alle mense han di fatto decapitato quel tempo pieno che può assumere il ruolo di sostituto del capitale culturale familiare (Palermo 1,9% dei bambini, Sicilia 6,6%; Milano 90%, Torino 65%). I bimbi che se lo possono permettere avranno attività formative, loro che il computer ce l’hanno a casa, l’inglese lo imparano a Londra e lo sport lo fanno a pagamento; gli altri da piccoli staranno davanti alla tv o per strada, da adolescenti ciondoleranno nei bar o nelle sale
Più tardi, se potranno, lavoreranno in nero. Andranno in riformatorio o in carcere, in non pochi casi. Nei casi estremi, al cimitero.
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