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Catanesi e referendum, buoni ma pochi

Niente di nuovo sul fronte meridionale? Il 12 e il 13 giugno Catania è apparsa riluttante, quasi indifferente al vento di novità che soffia sul Paese: fosse stato per noi, per il nostro misero 43%, il quorum non si sarebbe raggiunto. Sono stati tutti in Sicilia i capoluoghi di provincia con minor affluenza.
Ci possiamo consolare dicendo che la percentuale è comunque più alta di quelle dei referendum precedenti, e che negli 11 comuni siciliani in cui i referendum si sono svolti contemporaneamente al ballottaggio si è verificato un ‘mini election day’ che ha prodotto un boom d’affluenza: Ramacca ha visto un record pari al 78,4%, a Noto ha votato il 68,9%, a Bagheria il 67,4% dei cittadini. Dati che fan capire perché il governo abbia buttato via centinaia di milioni, pur di non accorpare elezioni e referendum.
Se per la nostra città andiamo però più a fondo, guardando ai dati disaggregati (come ha fatto un articolo di Leandro Perrotta su Step1), vediamo ripresentarsi fenomeni che conosciamo, ma che non smettono d’essere inquietanti. La spaccatura tra i quartieri (ossia, si sarebbe detto un tempo, tra le classi sociali) è molto forte: se le zone “bene” di Catania registrano più del 52% di votanti, nei quartieri più popolari e degradati si arriva solo al 32%. Anche senza dati certi, si potrebbe scommettere che da noi è più debole che altrove anche il gap generazionale, l’inedita affluenza degli under 35.
La partecipazione, la voglia di esserci e di contare vedono ancora, nel mezzogiorno d’Italia, divisioni di cultura, di stile di vita, di opportunità; presuppongono un senso della vita pubblica ed una consapevolezza dell’attualità, che non sono patrimonio di tutti.
Non lo sono ancora, per i giovani che lavorano in nero, che ciondolano nelle strade disertando la scuola o la frequentano svogliatamente, trovando più attraenti i luoghi del consumo e dello sballo (e come può allora dispiegarsi, per loro, l’energia creativa dei social network e della rete?); non lo sono più, per gli adulti e per gli anziani cui sono venute meno le sedi dell’aggregazione politica, chiuse dalla spettacolarizzazione, dalla personalizzazione, dalle overdosi di leaderismi piccoli e grandi, dalle convulsioni suicide dei partiti che furono di sinistra.
Non saranno certo i patronati delle clientele ad ispirare umori partecipativi intorno ai beni comuni. A trasmettere passione civile.
E’ il silenzio imperdonabile della buona politica, è l’inerzia colpevole delle istituzioni, è la sordità alle trasformazioni culturali, è la sciatteria del vivere, è la chiusura asfittica dell’orizzonte, a negare a gran parte dei nostri concittadini quella bella sensazione che è uscire di casa per andare a votare: avendone in cambio non la promessa di una pensione o un pacco di pasta, ma la gioia di respirare aria pulita.

Argo

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