Come sento la mafia

Da cinque anni il Centro Studi Pio La Torre promuove una ricerca sulla percezione del fenomeno mafioso tra i giovani. E’ una ricerca rivolta a 9000 studenti di 94 scuole che hanno seguito il progetto educativo antimafia del Centro Studi, ma i risultati riguardano solo 2500 questionari compilati online. I risultati esposti ci danno l’occasione di riflettere su alcune asserzioni di principio, convinzioni e anche luoghi comuni.
Ovviamente è stata rilevata una valutazione negativa del fenomeno mafioso; si esprime consapevolezza della sua incidenza negativa sulle condizioni di sviluppo del Paese (70%); si continua ad avere sfiducia – quasi all’unanimità – nei confronti dei politici nazionali e locali, estesa (per il 60%) ai giornalisti ritenuti al soldo di chi detiene il potere, sfiducia che la mafia possa essere definitivamente sconfitta (40%) e consapevolezza che lo Stato non faccia abbastanza per sconfiggerla (72%).
L’esempio che i giovani hanno dalla classe politica è davvero pessimo, cresce ancora, seppur di poco, la già altissima percentuale di coloro che ritiene abbastanza forte o, addirittura molto forte il rapporto fra mafia e politica.
Traffico di droga, pizzo, lavoro nero, gestione delle discariche, sfruttamento della prostituzione, corruzione dei pubblici dipendenti, scambio di voti e abusi edilizi e urbanistici sono le attività criminose ritenute più rivelatrici della presenza delle mafie.
Molto chiare sembrano essere le idee sul da farsi, sia a livello di singoli che di collettività: non sostenere l’economia mafiosa, colpire questi criminali proprio nei loro interessi economici; educare alla legalità, contrastare la corruzione e potenziare il controllo del territorio.

Entrando nel dettaglio di alcune domande, ci sembra interessante porre l’attenzione sulle risposte che vengono date a due di esse.
La prima: “Cosa permette alla mafia di continuare a esistere?”. Al primo posto è indicata “la mentalità dei siciliani” (57%), seguita da “la corruzione della classe dirigente” (55%) e “le scarse opportunità di lavoro” (39%).
L’altra: “Secondo te, nella tua città, dovendo cercare lavoro cosa è più utile fare?” Le risposte sono così commentate nel dossier a pag. 16: “Anche se un volenteroso 34,54% dice che bisogna presentare un curriculum, seguito da un ingenuo 28,89% che ritiene di dover frequentare un corso di formazione e da uno sprovveduto 20,58% che pensa di rivolgersi a un centro per l’impiego, le risposte “viscerali” svelano che il 18,54% ritiene che la cosa più importante sia rivolgersi a un mafioso, il 18,31% aggregarsi a un politico, il 15,52% avvalersi dei rapporti familiari, l’11,96% utilizzare le amicizie”.
Vorremmo che non solo i giovani, ma anche i meno giovani continuassero ad essere “volenterosi”, “ingenui” o “sprovveduti” e non accettassero il compromesso di rivolgersi al politico o, ancora peggio, al mafioso. Per questo non condividiamo il suddetto commento, frutto forse di eccessivo disincanto. Ci piace condividere, invece, l’auspicio di chi, a pag. 17,. ricorda una frase di Umberto Eco, per lasciarsi alle spalle ogni stereotipo. “Bisogna dire di no, anche se si sa che non servirà a niente. Che un giorno si possa dire che lo si è detto”.
Un auspicio: che l’anno prossimo, grazie alla collaborazione di tanti docenti nelle scuole d’Italia e di tanti esperti che da volontari lavorano nel Centro, si somministri il questionario anche e soprattutto a studenti che non hanno partecipato a specifici percorsi sulla legalità.

Argo

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