Che l’Italia sia stata marcata, fin dal suo nascere, da un dualismo sociale ed economico, è un affermazione sulla quale gli storici sono concordi, ed è la situazione per cui si parla di ‘questione meridionale’.
L’attuale visione di un’Italia che non cresce a causa di un sud “palla al piede” di tutto il paese è solo una sua rilettura in
E, a prima vista, alcuni numeri sembrano confermarla: al nord si è registrato nel 2009 un Pil pro-capite pari a 29.914 euro; al sud non si arriva nemmeno al 60% di questa cifra, dato che il Pil pro-capite si ferma a 17.324 euro per abitante.
Ma si tratta di una verità relativa, se non proprio apparente, che serve a giustificare le pretese di un federalismo aggressivo e punitivo, ma che non descrive pienamente la realtà dei fatti. In effetti spesso si dimentica che:
1. siamo così da 150 anni e in alcune fasi – per esempio gli anni del cosiddetto ‘miracolo economico’ – si sono ottenuti tassi di crescita molto elevati, malgrado il dualismo;
2. in molte congiunture, proprio l’arretrato sud è stato chiaramente funzionale al nord; si pensi, per esempio, al basso costo della manodopera, costituita in prevalenza da emigrati meridionali che, per giudizio comunemente accettato, è stato uno dei fondamentali motori del boom economico degli anni 1950-1970;
3. oggi il fenomeno si sta ripetendo, sia pure con modalità diverse, con l’esportazione di capitale umano già molto qualificato -si tratta spesso di laureati- che, dopo aver pesato sulle tasche delle famiglie di provenienza nella fase della loro formazione, sono costretti ad emigrare per cercare un lavoro all’altezza delle loro aspettative. Si calcola che, per ogni 100 mila giovani che emigrano dopo aver concluso il percorso di studio, è come se il sud finanziasse il nord con un fondo pari a 15 milioni di euro;
4. il sud, nel suo insieme, costituisce un mercato di 20 milioni di consumatori, verso cui le esportazioni del nord sono pari a circa il 35 %, cifra che sale al 53% se si parla della sola Lombardia. Il che, tradotto in altri termini, significa che, se è vero che vengono trasferiti al sud 45 miliardi di euro delle tasse pagate al nord, questi concorrono a finanziare una spesa del sud di 62 miliardi per importazioni dal nord.
Secondo dati elaborati da Massimo Rodà, del Centro Studi Confindustria (Csc), nel periodo 1997-2007, precedente la recente fase di recessione, il Pil per abitante del nord è cresciuto solo dell’8,1%, rispetto al +13,1% segnato dal sud, anche se il Pil in cifra assoluta, che non tiene conto cioè dell’aumento demografico, sembra dire il contrario.
La realtà è che negli ultimi quindici anni tutto il Paese si è ritrovato di fatto profondamente unito in una crescita lenta e nel suo insieme ha perso terreno rispetto alle altre economie europee.
Secondo L. Paolazzi, de Il sole 24ore, una prima verità da affermare è che “tutto il Paese è bloccato dalle stesse cause, che nel Meridione si presentano elevate al cubo: inefficienza della pubblica amministrazione, in ogni suo ambito, carenza delle infrastrutture, illegalità (che diventa nel Mezzogiorno criminalità organizzata), rigidità, mancanza di concorrenza. Cioè, lo Stato non fa lo Stato e ciò impedisce al mercato di funzionare correttamente e fa vincere l’economia fondata sulla relazione invece di quella fondata sul merito.”
In secondo luogo è vero invece “che uno Stato efficiente rimetterebbe in modo l’intera economia italiana, ma con un effetto moltiplicativo proprio per il Sud che darebbe così una spinta propulsiva a tutto il Paese.”
Ciò che si continua a pagare, come sostiene su Formiche l’economista P. Savona, è un’insoddisfacente integrazione economica che neanche gli interventi della Cassa per il Mezzogiorno sono riusciti a realizzare dato che, dopo un felice periodo iniziale, si sono configurati come “interventi compensativi e non correttivi dei divari di reddito e di occupazione tra il nord e il sud” e presto si sono tradotti in riduzione degli investimenti in infrastrutture e nell´ampliamento di quelli a basso valore aggiunto (le “cattedrali nel deserto”).
“Gli sbocchi di queste politiche sono noti: il reddito pro-capite della popolazione meridionale è mediamente cresciuto come quello del nord, senza però colmare il divario ereditato dal passato (nell´ordine del 40%).”
Tutto ciò non deve, naturalmente, far dimenticare gli sperperi pubblici, non solo presunti, del Mezzogiorno, ma è anche vero che c’è stato un forte flusso della spesa statale verso il Centro-Nord: 25 miliardi di fondi FAS, destinati al Meridione, sono stati usati, ad esempio, per finanziare altre scelte di governo, dal taglio dell’ICI al sostegno della cassa integrazione (al 70% destinata a imprese del Nord), al risanamento dei comuni amici di Catania e Roma.
Ma, più in generale, è vero che molti fondi UE, perdendo di vista le finalità originarie di sostegno programmato delle aree deboli, sono stati usati per coprire spese ordinarie che lo Stato non è riuscito a garantire, mentre per quelli adeguatamente utilizzati, l’Italia è spesso oggetto di critiche e censure per la bassa quantità della spesa e la carente qualità degli interventi.
La Sicilia, ad esempio, dei fondi UE programmati per il periodo 2007-2013 è riuscita a rendicontare solo il 3,7% di spesa sul fondo Fse e il 7,7% sul fondo Fesr.
Per questi, e altri motivi, se tutto il paese non sa più pensare il sud, non riuscirà ad avere una politica sul Mediterraneo, come sta documentando l’attuale crisi nordafricana. L’Italia, incapace di esprimere una posizione originale e creativa, è stata costretta ad allinearsi all’intervento in Libia ma infine è stata lasciata sola di fronte al problema dei migranti.
D’altra parte, da un governo costretto dal suo capo –noto ormai solo per le sue peraltro dubbie qualità di barzellettaro- ad occuparsi, per buona parte del suo tempo, delle sue personalissime faccende private, ci si può aspettare altro?
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Me lo aspettavo da tempo questo articolo, è bellissimo. Pino Aprile ringrazia..
sto' cercando di diffonderlo il più possibile.
Bravo! Anche io sto cercando di far conoscere la "nostra" VERA verità.
Ormai credo sia finito il tempo di fare scrivere la storia soltanto ai vincitori.
Grazie.
Luigi Prestipino