Il detto evangelico rischia di essere il criterio con cui sta per essere attuato il passaggio al federalismo municipale.
Si tratta di uno degli snodi principali dell’attuazione del più generale federalismo fiscale; per esso, molti Comuni soprattutto del Sud, avranno gravi problemi a far quadrare i conti di casa.
Uno studio condotto dal sen. M. Stradiotto del PD, che ha utilizzato i dati della commissione paritetica sul federalismo fiscale (Copaff) che lavora per conto del ministero del Tesoro, ha quantificato in 445 milioni di euro la perdita in cifra assoluta per i Comuni capoluogo di provincia.
Il federalismo fiscale infatti è quel meccanismo, fortemente auspicato dalla Lega, per cui si instaura una proporzionalità diretta fra le imposte riscosse e le imposte effettivamente utilizzate in una determinata area del paese.
Il finanziamento delle funzioni trasferite agli Enti locali avverrà quindi attraverso il contestuale trasferimento ad essi di alcuni cespiti fiscali attualmente incassati dallo Stato, ma comporterà naturalmente anche la cancellazione dei relativi stanziamenti di spesa nel bilancio dello Stato, anche se a favore delle Regioni con minore capacità fiscale dovrebbe poi intervenire un fondo perequativo.
In linea di principio esso dovrebbe quindi comportare, dal punto di vista politico-amministrativo, una maggiore responsabilità da parte degli enti nel gestire le risorse.
Le imposte devolute ai Comuni sono la tassa di registro, le tasse ipotecarie, l’Irpef sul reddito da fabbricati e il presunto introito che dovrebbe venire dalla cedolare secca sugli affitti.
Il punto sta proprio qui: non tutti i Comuni hanno, a parità di costi, la stessa possibilità e capacità di estrarre dal loro territorio le risorse necessarie al funzionamento dei vari servizi per cui, senza considerare il fondo perequativo, è stato calcolato che, tra i 92 comuni esaminati dallo studio, 52 otterrebbero benefici dalla proposta di riforma, mentre 40 ne verrebbero più o meno penalizzati.
Andrà quindi meglio ai municipi del nord, nel cui territorio si ha un maggiore giro di affari, o a quelli con un alto tasso di seconde case, avvantaggiati dalla base immobiliare delle nuove imposte. Il record dei vantaggi spetterebbe infatti a Olbia, con un saldo di +180%.
Nella lista di chi ci guadagna ci sono anche Bologna (+40%), Milano (+34%), Firenze (+33%) e Venezia (+26%).
Come è facile arguire, invece, buona parte dei Comuni che saranno penalizzati sono meridionali: L’Aquila (-66%), Napoli 61%, Messina perderebbe il 59%, Potenza -56%, Palermo e Cosenza il 55%, Taranto il 50%, -46% per Catanzaro, ma anche -22% per Genova, -10% per Roma, -9% per Torino, -12% per Bari.
Non andrà molto meglio a Catania che dovrebbe subire una perdita del 43% pari a -62.516.331 euro, avendo incassato nel 2010 trasferimenti statali per 143.988.019 mentre con l’autonomia impositiva dovrebbe incassare 81.471.688.
Detto in altri termini, mentre i trasferimenti per abitante, col meccanismo attuale, sono di 486 euro, col nuovo regime il gettito per abitante delle tasse e imposte devolute sarà di 275, cioè 211 euro in meno.
Riusciranno i nostri Comuni a sopravvivere al federalismo comunale?
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