Beni demaniali alla Regione, per farne cosa?

Dall’inizio di dicembre il patrimonio della Regione Sicilia si è impinguato di circa 140 beni demaniali: si tratta in prevalenza di beni archeologici e storico-artistici, ma anche di caserme e fari, trasferiti dallo Stato, anche se in alcuni casi già gestiti dalla Regione.
L’elenco è abbastanza consistente e assolutamente prestigioso: c’è la Colombaia di Trapani, l’area archeologica di Siracusa, la Valle dei Templi di Agrigento e il Palazzo dei Normanni a Palermo, ma anche il Castel S. Angelo di Licata, il museo eoliano e il parco archeologico di Lipari, i resti archeologici di Santa Croce Camerina, la Torre dei Vendicari a Noto, l’antica Acre di Palazzolo Acreide, la zona archeologica di Segesta.
Resta invece misterioso il mancato passaggio di importanti beni culturali presenti nel catanese quali il Castello Ursino, l’anfiteatro di via Vittorio Emanuele e le Terme dell’Indirizzo.
In un paese normale ci sarebbe da essere fieri di questo trasferimento alla Regione, anche per i notevoli vantaggi economici e occupazionali che potrebbero derivarne.
Ma in un paese di matti come il nostro che, sommando beni artistici e culturali, paesaggistici, naturalistici e gastronomici, potrebbe consentire a una fetta consistente dei suoi abitanti di vivere decorosamente e ai suoi giovani di non essere costrettui ad andare via, si deve invece essere seriamente preoccupati.
Bene che vada, è legittimo attendersi un uso sguaiatamente clientelare di queste risorse. E questo sarebbe ancora il male minore.
La gestione ordinaria, la valorizzazione e, prima ancora, il restauro e la messa in sicurezza di questo straordinario patrimonio richiede infatti notevoli capacità di investimento ma, a quanto pare, di fondi regionali in bilancio non vi è nemmeno l’ombra.
Tanto è vero che l’assessore al ramo Sebastiano Missineo si è premurato di precisare che la disponibilità piena di questi beni consentirà di avviare “la piena utilizzazione dei fondi europei”, in particolare quelli derivanti dalla nuova Agenda 2007/2013. Gianfranco Zanna, responsabile Beni Culturali Legambiente Sicilia, sottolinea però “fino adesso nulla è stato fatto”.
Le cronache ci dicono che la questione più grave e urgente è senza dubbio quella della tutela e della manutenzione ordinaria, che resta il miglior modo per salvaguardare i monumenti.
La Carta del Rischio del patrimonio culturale per la Regione Siciliana, finanziata con fondi Por per un importo di circa quattro milioni di euro, ha proceduto complessivamente a rilevare opere in ben 99 comuni, compresi i nove capoluoghi e tutte le sedi della diocesi, Sono circa 2.000 i monumenti dei quali è stata calcolata la vulnerabilità, cioè lo stato di salute.
L’elenco dei casi è lungo e consistente: il Tempio C di Selinunte da dieci anni è ingabbiato in una inutile e dannosissima impalcatura; il tempio E è parzialmente interdetto ai visitatori per evitare che i calcinacci in cemento (utilizzato per riempire le parti mancanti in fase di restauro) vengano giù sui turisti. In cambio a metà settembre è stato istituito il parco archeologico, uno dei più grandi d’Europa.
Le antiche mura di Kamarina sono già in parte crollate per l’azione erosiva delle correnti marine, stravolte dalla costruzione del’attiguo porto di Scoglitti; sul parco archeologico di Cava d’Ispica incombe il rischio idrogeologico.
Avrebbero bisogno di interventi urgenti le Mura Timolontee di Capo Soprano a Gela, l’antico borgo della “Cunziria” a Vizzini, la Megara Hyblea di Siracusa e Kamarina a Ragusa. La “Casina cinese” di Palermo è già sbarrata ai visitatori ad un anno dai restauri; lo stesso dicasi della chiesa della Gancia.
Agata Villa, direttrice del museo archeologico regionale Antonio Salinas (il più importante della Sicilia) riferisce che “il 20% dei beni culturali custoditi al museo è in situazione gravissima di deperimento, un altro 60% ha bisogno di manutenzioni.
Dei 200 milioni di euro spesi dal sistema regionale dei Beni culturali nel 2009 , solo 55 sono stati usati per la valorizzazione di musei, gallerie, siti archeologici. I “restanti” 147 milioni sono serviti per pagare i dipendenti che vi orbitano intorno.
Le Soprintendenze, che hanno il compito di tutelare il nostro patrimonio culturale, non sono messe in condizioni di farlo. Denunciano infatti forti carenze di personale e  tagli alle risorse per gli interventi.
Emblematico, su tutti, è il caso del restauro della villa romana del Casale:  nel gennaio 2003, l’Assessore ai Beni culturali del tempo aveva firmato il decreto di finanziamento dei lavori, ma solo nel febbraio 2007 c’è stata la cerimonia ufficiale di posa della prima pietra.
Nonostante fossero fruibili solo sei ambienti della villa, ai turisti, sempre meno numerosi, era stato imposto il pagamento di un biglietto di 5 euro. Recentemente però, dal 15 novembre, è stata disposta la chiusura totale del sito, con la speranza, tutta da verificare, di una sua riapertura nella tarda primavera del 2011.
All’interno di questo bollettino di guerra, spicca tuttavia una buona notizia: il 3 dicembre sono stati finalmente esposti al pubblico nel museo archeologico di Aidone gli Argenti di Morgantina.
Analogamente, nella chiesa di San Domenico, dovrebbe essere esposta la Venere di Morgantina, anch’essa recentemente rientrata dall’America. Ma, tanto per non farsi prendere troppo dall’entusiasmo, l’edificio cinquecentesco attende ancora che venga espletata la gara di appalto per l’esecuzione dei lavori di adeguamento.
Mai troppo zelo, per favore!

Argo

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