Nel settembre del 2005, mentre gli immigrati extracomunitari arrivavano in massa a Lampedusa, Fabrizio Gatti si fece trovare su una spiaggia dell’isola, dichiarò di chiamarsi Bilal e di essere curdo e venne internato nel Centro per una settimana. Il Cpt era blindato a quel tempo, l’ingresso vietato a giornalisti e parlamentari. Per aver vissuto quell’esperienza Gatti potè denunciare sul settimanale le terribili condizioni della struttura, sovraffollata, priva di bagni, di letti e di qualunque servizio elementare, non adeguata , insomma, all’assistenza di uomini, donne e bambini arrivati dopo la faticosissima traversata del Canale di Sicilia. Poté raccontare anche gli abusi e le violenze delle forze di polizia, e dimostrare l’inutilità della procedura di espulsione. Lui e altri “clandestini” dopo aver ricevuto il decreto di espulsione furono accompagnati ad Agrigento e poi lasciati liberi.
“Il fatto non costituisce reato”. Così il giudice La Barbera del Tribunale di Agrigento ha assolto l’inviato de L’espresso. «È una sentenza di estrema importanza», commenta il professore Carlo Federico Grosso, difensore di Gatti, «in quanto il giudice ha riconosciuto che il diritto del giornalista di fare inchieste anche delicate per informare il pubblico su vicende di interesse generale costituisce scriminante anche di un reato come la falsa generalità, indispensabile per compiere fino in fondo indagini giornalistiche».
Sul rinvio a giudizio di Gatti, leggi su Argo Gatti ovvero i rischi dell’informazione
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