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"Ego Rosalia…", storia di un imbroglio gesuita

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La lente d’ingrandimento di Sherlock Holmes per uno scoop storico di grande interesse. Sotto la spinta di un forte amore per la trasparenza, per la verità. L’autore di questa lunga e complessa indagine storiografica condotta con rigore quasi giudiziario è Giancarlo Santi che la racconta nel libro “Ego Rosalia – La vergine palermitana tra santità e impostura”, edito da La Zisa. L’indagine comincia da qui, da quell’iscrizione (che dà anche il titolo al saggio) incisa nella grotta della Serra Quinquina, eremo dell’Agrigentino in cui, secondo la leggenda, santa Rosalia sarebbe vissuta a lungo prima di continuare sul monte Pellegrino il suo percorso di santità. Le pareti anguste e umide della grotta racconterebbero le origini della romita in un latino approssimativo che tradotto suona così: “IO ROSALIA SINIBALDI FIGLIA DEL SIGNORE DELLA QUISQUINA E DELLE ROSE PER AMORE DEL MIO SIGNORE GESU’ CRISTO IN QUESTO ANTRO HO DECISO DI ABITARE”. L’iscrizione dà forma, storia e vita alla santuzza, amata e festeggiata dalla Chiesa il 4 settembre e dai palermitani il 15 luglio, facendola uscire dalle nebbie del mistero per consegnarla, vera, autentica e persino nobile, alla devozione dei palermitani.
E’ la parola Sinibaldi il grimaldello attraverso il quale, nel 600, un gesuita, il palermitano Giordano Cascini, ricostruisce le origini della santa e la sua discendenza, dai Sinibaldi agli Altavilla, su su fino a Carlo Magno. A Giancarlo Santi non importa acclarare la storicità di Santa Rosalia ma semplicemente accertare o negare l’autenticità del graffito. Da quella stessa iscrizione parte Cascini per costruire ed affermare, invece, l’immagine di Rosalia, taumaturgica patrona di Palermo, unica capace di sconfiggere la peste del 600. Lo fa con la sua opera “Di Santa Rosalia Vergine palermitana” con la quale consegna ai posteri l’oggetto di devozione con annessi e connessi di aneddoti, episodi, particolari. E come oggi, quando una bugia molte volte ripetuta diventa verità, così anche allora e fino ad oggi, la narrazione di Cascini, ripresa da storici e non, divenne diffusa credenza. Racconta Cascini che quaranta giorni dopo il ritrovamento delle reliquie della santuzza sul Monte Pellegrino, due muratori palermitani scoprirono per caso alla Quisquina, l’iscrizione.
Ma non tutti abboccarono all’amo del gesuita. Non ci credette monsignor Paolo Collura che nel suo libro Santa Rosalia del 1977 nega l’autenticità dell’iscrizione e attribuisce l’inganno a Maria Roccaforte, monaca di Bivona psichicamente disturbata e – sospetta Santi – usata dal suo confessore, gesuita anch’esso. Suor Maria racconta, con dovizia di particolari, gli incontri con la santa, le rivelazioni di questa, i riferimenti al padre Sinibaldo; favoleggia persino del suo look (“giubbone di velluto morato e una gonnella di velluto nero”). “Ancora oggi- scrive Giancarlo Santi – molte discutibili performances teatrali che animano il festino palermitano ricalcano i fantasiosi temi bivonesi ; ancora oggi i videotapes strappalacrime che narrano la vita di Rosalia sono costruiti sul copione scritto a suo tempo da suor Maria”. Collura conferma, però, l’autenticità storica della santa. Rosalia si trova dunque retrocessa nel casato (non più nobile discendente di Carlo Magno) ma almeno storicamente riconfermata. Perde il blasone ma conserva l’aureola, insomma.
Nel 1988 anche l’antropologo Valerio Petrarca dichiara falsa l’iscrizione, citando altri responsabili dell’imbroglio, individuandone il movente e dipingendo il quadro storico-sociale nel quale maturò. L’iscrizione sarebbe stata creata dalla Compagnia di Gesù per costruire una degna Patrona di Palermo, capace di tenere a bada un popolo stremato dalla peste e dalla miseria. Le reliquie della santuzza, portate in processione nel 1624 avrebbero impedito l’ulteriore diffondersi dell’epidemia. Rosalia sbaraglia così ben quattro co-patrone di Palermo, Santa Cristina, Santa Ninfa, Sant’Oliva e Sant’Agata (poi ceduta a Catania) che non erano riuscite nell’intento di fermare il morbo.
Santi esamina tutte le posizioni e “scopre”, analizza e pubblica per la prima volta, un documento finora trascurato o ignorato dagli studiosi, il manoscritto “Testes recepti et esaminati per curiam spiritualem…”, della Biblioteca Comunale di Palermo che contiene le deposizioni giurate rese nel 1642 da dodici abitanti di Santo Stefano, testimoni oculari della scoperta del graffito. Unico a prendere in considerazione il documento ma solo per farne una frettolosa sintesi e per riaffermare la storicità di Rosalia Sinibaldi, un altro gesuita, il bollandista Johannes Stilting, autore, nel 700, degli Acta Sanctae Rosaliae. Giancarlo Santi mette, invece, a confronto le varie tesi, e denuncia l’impostura, “chiamando” i dodici testimioni a smentire la ricostruzione dei gesuiti Cascini e Stilting. Vengono a galla, così, chiaramente, bugie e silenzi, falsi ed omissioni della Compagnia di Gesù, regista del falso graffito.
Giancarlo Santi, Ego Rosalia- la vergine palermitana tra santità e impostura,  La Zisa
Giancarlo Santi (Siracusa 1946) vive e lavora a Catania. Giornalista pubblicista e appassionato di speleologia, ha collaborato con il Touring Club Italiano, con la terza pagina del quotidiano La Sicilia e con la rivista “Etna Territorio” di Catania. Si è occupato di feste popolari, di tradizioni religiose, di itinerari culturali siciliani. Ha pubblicato “La strada dei Santi”, viaggio sentimentale per le feste religiose di Sicilia (Bologna, Bolelli, 2001). E’ coautore dei libri Le grotte del territorio di Melilli (1997) edito dal Comune di Melilli e Dentro il Vulcano, le grotte dell’Etna (1999) edito dall’Ente Parco dell’Etna.

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