Così si alimenta non solo l’idea che le regole non valgono per tutti, ma anche uno dei principali stereotipi che mette in relazione immigrazione e criminalità.
Già nelle prime pagine introduttive si legge che “il ritmo d’aumento delle denunce contro cittadini stranieri è molto ridotto rispetto all’aumento della loro presenza, per cui è infondato stabilire una rigorosa corrispondenza tra i due fenomeni… italiani e stranieri hanno nel complesso un tasso di criminalità simile (pag. 9).
Anche l’altro stereotipo, quello che associa alla presenza di tanti stranieri le ridotte possibilità di trovare occupazione, è smentito dai numeri: “Gli immigrati hanno catalizzato i malumori, quasi fossero loro all’origine di questi mali, che invece hanno altre cause… l’Istat, ne La situazione del Paese 2009, ha precisato che l’occupazione degli stranieri è aumentata solo in quei settori produttivi considerati non appetibili dagli italiani, come per le donne nel comparto dei servizi alle persone” (pag. 7-8). In generale, dal 2008 al 2009, i disoccupati italiani sono aumentati del 2,8%, i disoccupati tra i cittadini di paesi terzi del 5% (pag. 37).
Un capitolo è dedicato alla Sicilia (“terra di lavoro, magari come via di transito in vista di un successivo insediamento in altre zone d’Italia”), dove la popolazione immigrata risulta di 127.310, pari al 2,5% del totale dei residenti (contro una media italiana del 7%), a cui vanno aggiunti circa 35.000 stranieri non regolarizzati.
Nell’anno scolastico in corso sono 17.985 gli alunni stranieri iscritti nelle scuole siciliane: ciò “rappresenta un efficace termometro per misurare lo stato di inserimento degli stranieri. La scelta di iscrivere i propri figli alle scuole italiane è la sicura spia di un investimento molto importante da parte dei genitori stranieri, quello sul futuro formativo dei propri figli” e testimonia una presenza sempre più stabile delle seconde generazioni.
Il paese più rappresentato è la Romania. I rumeni sono concentrati soprattutto a Catania, Palermo, Messina e Agrigento; la Tunisia è invece più presente a Ragusa e a Trapani).
Per quanto riguarda i settori di inserimento, continua a prevalere l’agricoltura, con il 22% di occupati tra i nati all’estero, seguita dall’impiego nel settore alberghiero e della ristorazione (12%) e delle costruzioni (11%).
Relativamente alla criminalità, viene evidenziato che “nel triennio 2005-2008 la popolazione straniera residente è aumentata del 53,7%, mentre le denunce verso stranieri (che comprendono anche quelle verso gli irregolari) sono addirittura diminuite del 9,5%… per i cinesi le denunce sono diminuite (-36,9%) a fronte di un sensibile aumento dei residenti (+56,8%).
Sarebbe da approfondire il rapporto CNEL, ripreso nel dossier, che colloca la Sicilia all’8° posto nella classifica delle regioni relativamente all’indice assoluto del potenziale di integrazione, e al 1° posto per quanto riguarda l’indice differenziale (scarto tra il dato degli immigrati e quello degli italiani). L’isola offre quindi agli stranieri condizioni di inserimento “poco penalizzanti” in relazione ai livelli medi della popolazione autoctona. Purtroppo i dati non fotografano una reale integrazione, perché “è chiaro che questo primato è dovuto al fragile tessuto economico e occupazionale della Sicilia piuttosto che a un contesto con margini reali di inserimento” (pag. 450). Verrebbe da concludere con una battuta, che ha tanti risvolti: siamo tutti immigrati, ma alcuni lo sono di più!
Leggi l’articolo di Pinella Leocata sul rapporto Caritas. Più stranieri, meno reati
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