120 miliardi di euro è – secondo la recente relazione della DIA – il fatturato annuo della mafia, mentre assomma appena al 3,7% la quantità di beni confiscati (222 milioni di euro). Di fronte a tale differenza il ministro Maroni farebbe meglio a impegnarsi per ridurre tale iato, dotando di risorse chi ogni giorno combatte la mafia (magistratura e forze dell’ordine), ed essere coerente con il mandato politico del suo elettorato che sembrava fosse sensibile alla cacciata dal Parlamento di corrotti e collusi con le organizzazioni criminali.
La relazione della DIA è un’analisi delle varie organizzazioni criminali (autoctone e alloctone) che sempre più sono presenti in regioni e Stati diversi da quelli storici e con modalità nuove in merito al riciclaggio e reimpiego del denaro nell’economia legale e che dimostrano grande abilità nel cogliere nuove opportunità imprenditoriali.
E’ significativo che già in premessa si asserisce che il significativo aumento degli arresti ha necessità di essere coniugato con i sequestri e le confische che attingono alla radice le capacità di rigenerazione del tessuto mafioso e le sue potenzialità affaristiche di infiltrazione, di collusione e di qualificata presenza sui mercato dell’illecito” (pag. 9).
Interessante è l’analisi su Catania, dove Cosa nostra non ha il monopolio delle attività illecite, per la contemporanea presenza di più sodalizi mafiosi, ma ad essa ha riservato “l’infiltrazione delle attività economiche più redditizie, soprattutto appalti pubblici, delegando le restanti attività illecite, a rilevanza locale, a strutture criminali dal profilo operativo meno evoluto” (pag. 21): si evidenzia come il clan Cappello ha ormai assunto un ruolo preminente nell’attività estorsiva (che è passata da “mezzo di affermazione di potere mafioso sul territorio” a “irrinunciabile canale di finanziamento illecito”), favorita anche da ingentissimi mezzi economici assicurati dal vasto traffico di sostanze stupefacenti (vedi anche pagg. 57 e ss).
Una analisi della relazione è presente nel n. 35 anno 4 di A Sud d’Europa. Vi si pone l’accento sul valore educativo di un bene confiscato alla mafia e gestito da cooperative sociali; sulla necessità di dotare l’agenzia unica per la gestione dei beni confiscati di uomini, mezzi e regolamenti per essere attivata; sul rapporto tra organizzazioni mafiose e mondo politico che a tutt’oggi rende possibile che fondi pubblici siano concessi a imprese mafiose (il decreto anticorruzione è fermo al Senato da sei mesi).
Grazie alla relazione della DIA si può comprendere quali siano oggi le modalità organizzative delle organizzazioni e il peso che hanno esponenti della cosiddetta area grigia che oggi non forniscono più solo supporto esterno, ma sono all’interno dei vertici dell’associazione.
Interessante è infine l’analisi sulla gestione anche delle forme nuove di produzione energetica. Gravi le ombre su quanto si sta sviluppando in Sicilia a proposito del sistema eolico e della sua gestione, spesso in mano a famiglie mafiose.
Vedi il post sulla precedente relazione semestrale: Libertà di mafia
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