La seconda puntata della telenovela Tirrenia ci conduce a giustificare, con dati alla mano, i motivi per cui oggi un privato può avere ben pochi motivi per imbarcarsi nell’acquisto di questa società, nonostante il tentativo di imitare il modello Alitalia, scaricando su noi cittadini il pagamento di una montagna di debiti, nati da una gestione dissennata.
Come dicevamo ieri, il fallimento della vendita alla Mediterranea Holding si associa ad un intervento del governo. Viene infatti avviata la procedura per la dichiarazione di insolvenza della Tirrenia. Secondo la legge Marzano (n.166 del 5 luglio 2004) l’azienda viene data in amministrazione straordinaria, e il commissario straordinario, Giancarlo D’Andrea, è autorizzato a richiedere la dichiarazione dello stato di insolvenza da parte del tribunale fallimentare di Roma. Nel contempo con un decreto legge si stanziano risorse finanziarie urgenti per garantire la continuità operativa della compagnia di navigazione.
Con la dichiarazione di insolvenza, resa pubblica il 12 agosto, si ripropone il modello Alitalia. Nasce una bad company, in cui confluiscono i debiti, che ammontano a 520 milioni di euro, che saranno pagati dai contribuenti, cioè da noi. Dall’altro lato viene creata una good company, i cui spezzoni potranno essere ceduti dal commissario ad eventuali acquirenti. E gli acqirenti non dovrebbero mancare, essendo ormai la compagnia libera dai debiti. Della serie: noi paghiamo e qualcun altro ci guadagna…
Il fallimento dell’acquiszione da parte di Mediterranea Holding apre delle falle anche all’interno della cordata. L’amministratore delegato di Mediterranea, oltre che di Ttt Lines, Alexandros Tomasos, accusa il presidente, Salvatore Lauro del Gruppo Lauro, di comportamenti poco chiari. Nicola Coccia, già azionista di Mediterranea Holding col 3%, rende noto che sta cercando di mettere assieme un gruppo di armatori italiani come Moby, Grandi Navi Veloci, Grimaldi, Snav, per formare un’altra cordata. Vincenzo Onorato, patron di Moby Lines, si dice pronto a rilevare il pacchetto della compagnia senza la Siremar.
In sostanza, tutti contro tutti. Riemerge inoltre lo spettro dello ‘spezzatino’. E diventa più chiaro che uno dei problemi del complesso affare è proprio la messa in vendita della Siremar, che risulta poco appetibile.
Cosa ci siamo persi? si chiedono allora i siciliani, frastornati da questo bailamme di avvenimenti…
Lombardo aveva messo in campo motivazioni alte, ma piuttosto generiche, per giustificare l’impegno della Regione in un affare tanto oneroso e rischioso: un grande rilancio turistico, la grande tradizione dei Florio, il ritorno della sede operativa a Palermo, la possibilità di commesse per la manutenzione ai Cantieri navali, la possibilità di permettere alla Sicilia di assumere un ruolo centrale nei traffici marittimi del Mediterraneo.
Chi si opponeva all’acquisto della Tirrenia ritiene invece che le casse regionali tireranno un grosso sospiro di sollievo. Questo carrozzone pubblico, con dipendenti che percepiscono stipendi superiori alla media e con debiti elevati, rischiava di diventare l’ennesima palla al piede per la già asfittica economia della Regione. I 2.200 dipendenti, infatti, hanno uno stipendio superiore del 24,6% a quello medio delle altre compagnie private. Quanto allo stato dell’azienda, eccolo: 500mila passeggeri persi dal 2007, flotta vetusta, sovvenzioni statali in bilico per i prossimi anni.
Non parliamo poi dei debiti: 646,6 milioni di euro, secondo la sentenza del Tribunale fallimentare, tralasciando i 15 milioni di euro di debito scaduti, secondo l’aggiornamento della situazione contabile al 4 agosto 2010, altri 227 milioni di debiti verso banche a breve, e 182 milioni a medio e lungo termine. No comment.
La Siremar, poi, è un carrozzone nel carrozzone. Debiti per 120 milioni di euro, navi pagate a prezzo d’oro e inutilizzate – il traghetto Guizzo oggi è fermo in una banchina laterale del porto di Palermo e per tenerlo lì la Siremar paga circa 60 mila euro all’anno all’Autorità portuale -, costosi traghetti superveloci con sistemi di attracco modernissimi che sono però costretti ad utilizza il vecchio sistema di attracco ad ancora perché i porti delle isole non sono stati adeguati, premi di produzione a pioggia per tutti.
Ci potremmo consolare con gli incassi, ma ogni anno la società incassa dai biglietti poco più di 4 milioni di euro per portare 1,8 milioni di passeggeri da e verso le isole minori siciliane. Lo Stato, tuttavia, per garantire la continuità di queste rotte, versa 70 milioni di euro all’anno. A conti fatti ciò significa che ogni passeggero è costato alle tasche dei contribuenti 41 euro mentre la Siremar ne ha incassati appena 3.
Pare, d’altra parte che sia la stessa Regione a fare concorrenza alla Siremar, avendo appaltato a compagnie private (Ustica lines e Ngi) i servizi aggiuntivi, per la modica cifra di 80 milioni di euro. Così capita che in pieno inverno partano a distanza di mezz’ora traghetti Siremar e aliscafi privati per la stessa tratta verso le Eolie.
Quale privato può avere interesse ad entrare in questo labirinto?
Ma non è ancora tutto. Nella prossima puntata proveremo a vedere come la vicenda Tirrenia si intrecci con le fluttuazioni del mondo politico, a livello nazionale e regionale.
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