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Gli alberi di Libera, chi li pianta e chi li brucia

Un albero è qualcosa di concreto, non un sogno, ma può essere sicuramente un segno, soprattutto se viene piantato in memoria di un commissario di polizia ucciso dalla mafia. Se poi l’albero è un ulivo, se a metterlo a dimora è don Ciotti, fondatore di Libera, se il luogo in cui viene collocato è un terreno confiscato alla mafia, su cui ha cominciato a lavorare una cooperativa di giovani che si chiama Beppe Montana, allora il segno si carica di un significato particolarmente pregnante.
Sul valore dei segni, Libera ha sempre insistito. “Dal sogno al segno “ è stata titolata una manifestazione organizzata in aprile in questo stesso terreno, una delle tante attività di animazione territoriale, che insieme ad incontri con le scuole, concerti, una rassegna cinematografica, etc sono state organizzate sul terreno confiscato da quando è stato firmato il protocollo d’intesa con le Prefetture di Catania e Siracusa.
I segni devono essere efficaci, concreti, per poter parlare a tutti, soprattutto ai giovani. Per loro Libera organizza dei campi estivi proprio sui terreni confiscati. In quello di contrada Casa Bianca si avvicenderanno fino alla fine di agosto circa 200 ragazzi, in gran parte scout provenienti soprattutto dalle regioni del nord Italia, per aiutare i soci della nuova Cooperativa a recuperare l’agrumeto e l’uliveto in stato di abbandono dai tempi della confisca, avvenuta nel 1999.
La possibilità di fare diventare questi terreni occasione di lavoro per dei giovani, di farli diventare produttivi, in modo legale e condiviso, è il modo più chiaro di affermare che una alternativa è possibile. E questo spaventa chi vuole fare credere che non c’è alternativa, che la mafia è l’unica realtà vincente, è quella che dà lavoro, è quella a cui rivolgersi perchè e lei che comanda.
Non è, quindi, un caso che nel trapanese in questi ultimi giorni siano avvenuti degli incendi di probabile origine dolosa, che hanno colpito, direttamente o indirettamente, iniziative legate a Libera.  Il più grave, a Castelvetrano, è stato il rogo che ha distrutto un uliveto confiscato alla mafia e affidato a una cooperativa di Libera. Proprio due giorni fa è andato distrutto un parco di Calatafimi, che avrebbe dovuto essere intitolato a Peppino Impastato e che stava per essere ripulito da operai comunali affiancati da volontari di Libera.
Atti intimidatori dunque, di chi non vuole che sia messo in discussione il proprio controllo sull’area. Difficilemente interromperanno il percorso di chi vuole reagire, operare e sperare. Anche se i ragazzi che tentano di ribellarsi alla mafia confessano che ” davanti a quelle fiamme sabato pomeriggio abbiamo pianto». E’ molto importante non lasciarli soli.

Argo

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