Non è ancora nato, ma è già lotta fra gli “eredi”. Stiamo parlando del Ponte sullo Stretto che stimola gli appetiti più vari, nonostante del progetto esecutivo non ci sia neanche l’ombra.
Innanzitutto, come dice Antonio Mazzeo, quelli di chi è interessato “a sventrare colline e riempire cave e discariche con milioni di metri cubi d’inerti”, ma anche di chi vuol dare un ‘contributo scientifico’, come le Università della Sicilia e della Calabria.
Se nel passato, l’Università non ha prodotto nessuno studio utile a chiarire la fattibilità del progetto (tuttora in ‘alto mare’, tanto per non smentirsi) e non è mai intervenuta sui costi economici e ambientali dell’opera, oggi sgomita per accaparrarsi qualche briciola delle risorse pubbliche impegnate per l’avvio dei lavori.
Conseguentemente, gli Atenei di Enna, Palermo, Reggio Calabria e Catania, con un comunicato congiunto, hanno preannunciato che «si mobiliteranno insieme per contribuire ad affrontare la grande sfida che vede protagonisti, non solo ingegneri e architetti, ma studiosi di molteplici ambiti».
Si parla, perciò, di accordi (già siglati o in procinto di essere sottoscritti) tra il Consorzio delle Università siciliane ed Eurolink (l’associazione d’imprese general contractor per la progettazione e l’esecuzione dei lavori) per lo svolgimento di test sui provini di cemento armato e per la realizzazione di due grandi laboratori scientifici, situati a Messina e a Reggio.
Il primo, di Scienza e tecnologia dei nuovi materiali, da affidare a un consorzio delle tre Università siciliane con la “Sapienza” di Roma e il secondo, di Aerodinamica e Aeroelasticità, destinato a un consorzio delle tre Università calabresi con il Politecnico di Milano.
Certo, è curioso che si cominci a parlare di laboratori di ricerca scientifica su aspetti determinanti della struttura che si vuole costruire, quando si continua a sbandierare ai quattro venti che il relativo progetto è già pronto e i lavori preliminari sono dati addirittura per iniziati!
A conferma di un rapporto che tende a divenire sempre più organico, è di qualche giorno fa la notizia della firma di un contratto di
locazione di un intero edificio del polo scientifico universitario “Papardo” di Messina per ospitare l’head office, ovvero la sede delle direzioni generali della Stretto di Messina Spa, del general contractor e delle società impegnate nel monitoraggio ambientale e nel “project management” del Ponte (Fenice Spa e Parsons Transportation Group).
Apparentemente, sembrerebbe un’operazione “normale”. In effetti, nella suddetta struttura è presente l’Incubatore d’Imprese” finanziato e realizzato con i fondi della legge 208 del 1998 riservati «agli interventi di promozione, occupazione e impresa nelle aree depresse». Questa locazione è, perciò, in palese contraddizione con le motivazioni, e i finanziamenti che avevano, a suo tempo, promosso la realizzazione della struttura.
Infatti, come afferma il prof. Guido Signorino, ordinario di Economia applicata: “L’insediamento del Centro direzionale di Eurolink nel non ancora ultimato “Incubatore d’Imprese” è una ipotesi a mio avviso bizzarra e non percorribile».
“Tale struttura, prosegue Signorino, è dedicata alla nascita di imprese “nuove”, frutto di “spin off” da ricerca. L’incubatore dovrebbe garantire, in particolare ai giovani, l’offerta di spazi adeguati a costi contenuti e servizi di supporto, di assistenza consulenziale e di reperimento di finanza dedicata ed agevolata. Nel caso dell’incubatore di Messina, esso nasce anche con lo scopo specifico di promuovere e sostenere la nascita di imprese ad opera dei laureati dell’Università».
Stando così le cose, è del tutto evidente che il consorzio Eurolink non presenta alcuna caratteristica idonea a consentirgli di diventare l’ospite-beneficiario della struttura.
D’altra parte, se il ministro Gelmini, costantemente imbeccata da Tremonti, continua a tagliare fondi alle Università, queste ultime, da qualche parte, dovranno pur trovare i soldini almeno per sopravvivere.
Leggi l’articolo di A. Mazzeo sul suo blog stostretto.it
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