Niente da fare. Le maratone di lettura contro la cosiddetta “legge bavaglio” organizzate in molte città italiane il 4 giugno scorso non sono bastate a fermare la determinazione del governo a portare avanti il decreto sulle intercettazioni. Il Senato ha approvato il maxiemendamento. C’era da aspettarselo. E forse lo prevedevano anche lettori e pubblico che si sono avvicendati, nella lettura e nell’ascolto, alla Libreria Tertulia per la maratona catanese, giovani e meno giovani, giornalisti, magistrati e cittadini comuni.
Se hanno deciso di partecipare è stato per voglia di non arrendersi, per voglia di farsi sentire, per voglia di capire e far capire.
Utile in questo senso l’intervento di Marco Bisogni, dell’Associazione Nazionale Magistrati. Con l’aiuto di alcune slide ha cercato di spiegare in un linguaggio non troppo tecnico il motivo per cui le intercettazioni, così come sono fatte attualmente, non sono affatto una minaccia per noi cittadini, ma piuttosto una tutela.
Nulla di nuovo, ma è bene ribadire. Innanzi tutto che le intercettazioni non si fanno così, perchè a qualcuno gli gira. Vanno sempre autorizzate dal giudice per le indagini preliminari e sia la richiesta che il consenso devono essere motivati. Che in futuro debba farlo un “collegio” è forse più garanzia di complicazione che di obiettività. E poi chi ha detto che le intercettazioni servano solo a incriminare? Possono servire anche a scagionare.
Molto chiari gli esempi. Primo: un uomo va al pronto soccorso con una ferita da taglio molto profonda e non convince i medici con la giustificazione della caduta. Il magistrato interviene, dispone l’intercettazione, da cui emerge la colpevolezza della moglie. Secondo: nella cella di un carcere muore un detenuto, in seguito alle dichiarazioni di due compagni di cella viene sospettato il quarto compagno di cella, scagionato, però dall’intercettazione ambientale.
Perchè allora questa diffidenza? Perchè convincere i cittadini che viene messa a repentaglio la loro privacy? Sembrerebbe che siamo tutti più o meno intercettati! Ma i numeri dicono qualcosa di diverso. Tanto più che, se le utenze intercettate sono più di centomila , questo non vuol dire che siano intercettate centomila persone. Avendo ogni persona in media almeno due utenze, più spesso tre, considerando cellulari e fisso, il numero di persone intercettate si riduce della metà o meglio di un terzo. E in Italia siamo 6o milioni….
Ma le intercettazioni costano…. E’ vero, sono costose, ma lo sono soprattutto per l’alto prezzo delle linee telefoniche, che all’estero vengono spesso concesse allo stato gratuitamente. Per spendere meno sarebbe utile, piuttosto che tagliare le intercettazioni, ricontrattare il costo del servizio. A favore dello stato, non utilizzando lo stato per arricchire i privati…
Sugli altri aspetti della legge non insistiamo oltre. Ne hanno parlato in tanti, da D’Avanzo su Repubblica, Ferrarella sul Corriere, tanto per fare solo degli esempi recenti. Ne abbiamo parlato anche noi: Appesi a un filo, Piange il telefono, Legge antintercettazione, una firma per dire “NO”
Rimane il fatto che quella approvata ieri al senato non è solo una legge che scoraggia la circolazione delle notizie. Non si cerca solo di mettere un bavaglio all’informazione. Si vuole fare molto di più, cercare di impedire che si arrivi all’accertamento della verità.
Certo le intercettazioni non sono l’unico strumento per fare luce sulle azioni criminali, ma uno strumento in meno in mano agli inquirenti fa certamente comodo a chi vuole continuare a perseguire il proprio interesse illecito, magari all’ombra di una alta carica di governo o di sottogoverno.
Quanto alla utilità delle incertettazioni nelle indagini di mafia, può essere illuminante citare il recentissimo blitz che ha portato all’arresto, a Palermo, di insospettabili imprenditori dei settori del vino e delle costruzioni, individuati attraverso le dichiarazioni di alcuni pentiti, confermate proprio dalle intercettazioni. Per le informazioni sul caso, leggi Le mani di Cosa Nostra sul vino siciliano di Salvo Palazzolo su Repubblica Palermo del 10 giugno 2010
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