A scuola di antimafia

George Grosz, i Ladri della società, 1920, Stoccarda, Staatsgalerie

Ormai non passa giorno in cui non dobbiamo leggere di scuole in difficoltà economiche tali da non riuscire a gestire nemmeno l’ordinaria amministrazione, eppure ci sono tante istituzioni scolastiche che, malgrado queste e altre difficoltà, continuano ad essere baluardo di formazione civile e centri di elaborazione culturale.
E’ questa la prima impressione che suscita la pubblicazione dei risultati di un’indagine, condotta dal Centro Pio La Torre, sulla percezione del fenomeno mafioso dei giovani studenti.
Pur non trattandosi di un’iniziativa del tutto originale, e malgrado non lavori su un campione statisticamente rappresentativo, trova la sua particolare consistenza nel fatto che è stata condotta a livello nazionale e quindi consente, in qualche modo, di mettere a raffronto le diverse sensibilità dei ragazzi del Sud e del Centro-Nord.
I risultati dell’indagine ci parlano di una sufficiente conoscenza della pericolosità sociale della mafia e del suo peso negativo sullo sviluppo economico, ma conferma anche una sostanziale sfiducia nella capacità di sconfiggerla non solo per la limitatezza dell’azione repressiva da parte dello Stato ma soprattutto perchè sono le stesse istituzioni, il mondo politico e la classe dirigente ad essere ritenuti fortemente permeabili dagli interessi mafiosi.
Questa rassegnazione assieme alla radicale presa di distanza dalla politica sembrano essere in effetti le acquisizioni più preoccupanti, anche perché la scelta alternativa di “dedicarsi agli altri”, più che la manifestazione di un nuovo senso civico sembra essere una fuga verso un buonismo moralistico e di maniera.
Vogliamo evidenziare questo aspetto anche perchè della mafia continuano ad essere sottolineate le manifestazioni, diciamo così, più tradizionali – traffico di droga, prostituzione, racket, controllo del mercato del lavoro nero – mentre sono colti in modo più sfumato, che non va oltre una generica incidenza sull’economia, i più profondi interessi economici.
Questi ormai non riguardano solo la gestione dei rifiuti e l’ingerenza negli appalti pubblici, dove peraltro è necessaria la collusione di settori consistenti della politica e della pubblica amministrazione, ma si spingono a penetrare, in modo sempre più profondo, per quanto spesso silenzioso e poco appariscente, nei gangli dell’imprenditoria e soprattutto della finanza.
E’ la ‘mafia dei colletti bianchi’, ancorché sporchi, il nuovo fronte del porto e fino a quando non si riuscirà a leggere attraverso la sua nebbia, sarà veramente difficile venirne a capo.
Meno male che l’incombente legge sulle intercettazioni contribuirà a stendere un velo pietoso su tutto questo spettacolo: così almeno non avremo motivo per roderci il fegato.

Argo

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