Ei fu! Il Banco di Sicilia è definitivamente scomparso, inghiottito dal nuovo ‘bancone’ dell’Unicredit. Non si può certo dire che l’esperienza del Banco sia stata proprio felice e lo stesso fatto di essere radicato nell’isola non ha sempre significato che fosse ben amministrato a vantaggio della vita economica della collettività.
I nuovi padroni vorranno in tal modo dare l’impressione che la banca sia espressione e interprete del suo legame col territorio, ma in effetti tutti i centri decisionali strategici saranno a Milano, così come alla Lombardia andranno i versamenti fiscali dei dipendenti e gli utili derivanti dall’attività bancaria.
Naturalmente ci saranno dei dirigenti locali che avranno il compito di gestire i rapporti con le istituzioni e i clienti locali, ma è fuori di dubbio che per la Sicilia si apra una stagione di dipendenza finanziaria le cui dimensioni sono tutte da immaginare ma i cui esiti sono scontati. E, in tempi di generale crisi e restrizione del credito, potrebbe essere la mazzata decisiva che affosserà definitivamente la già fragile economia isolana.
Basti pensare che, fra le altre cose, passerà sotto il controllo diretto di Unicredit il 76% dell’Irfis (Istituto regionale di credito nato per finanziare, con operazioni a medio-lungo termine, i programmi di investimento delle piccole e medie imprese), prima detenuto dal Banco di Sicilia.
Ma siccome i guai non vengono mai da soli, per capire bene la portata di quanto sta accadendo occorre mettere in conto che la Lega, uscita rafforzata dalle recenti elezioni regionali, dopo aver sbrigativamente pagato la cambiale contratta con la Chiesa e l’elettorato cattolico, con la tipica concretezza padana si è concentrata su uno degli obiettivi peraltro già da tempo perseguiti.
“Ci prenderemo le banche del nord”, ha subito proclamato Bossi, e non si riferiva certo al controllo delle banche di interesse strettamente territoriale, già da tempo in mano ai leghisti, ma proprio alle grandi banche che hanno sede legale e operativa al nord.
Ma non erano state privatizzate le banche? Forse ricordiamo male.
Certo, così facendo, ha dimostrato ancora una volta di avere una concezione tribale della politica, accanto alla quale ne sta emergendo una familistica, da quando ha preso l’abitudine di farsi accompagnare alle trattative con Berlusconi dal figlio Renzo, reduce da una brillantissima carriera scolastica e ultimamente approdato ad una altrettanto brillante, ci potete scommettere, carriera politica (ma il familismo amorale non era una categoria sociologica che caratterizzava la Terronia?).
Comunque la mettiamo, tuttavia, non è difficile prevedere che il suo non resterà un proclama retorico. Ciò che invece lascia senza parole è l’assoluta e vergognosa passività con cui la Sicilia sta assistendo a quello che si preannuncia un funerale di infima classe per la sua vita economica.
La vera tragedia in effetti si sta svolgendo sotto le austere volte di Sala d’Ercole, dove una rissosa, imbelle e incosciente classe politica siciliana sta mettendo in scena l’ennesima edizione di una guerra per bande il cui esito, malgrado quanto viene dichiarato, non è il bene dei siciliani ma la conquista e il controllo di una fetta sempre più grossa di potere, a beneficio della propria ambizione e delle vaste schiere dei famelici clientes.
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