Sul numero del 25 gennaio di A Sud’Europa abbiamo trovato alcuni interessanti articoli che riguardano i risultati dell’utilizzo dei fondi strutturali. Potrebbe, forse, essere presto per misurare l’effettivo impatto dei finanziamenti europei del piano 2000-2006 sull’economia isolana. La Regione sa bene che queste cose richiedono tempo. Lo dimostra quando si occupa della pianificazione della spesa: quest’anno è riuscita solo per un soffio a non perdere la prima tranche di finanziamenti del Por 2007-2013, l’ultima possibilità di ottenere aiuti comunitari prima che i rubinetti europei si chiudano definitivamente.
D’altro canto non sembra nemmeno che sia tempo di festeggiare l’avvento di una nuova luminosa era in cui una rinnovata Sicilia si propone come cuore pulsante dell’economia euromediterranea.
La Sicilia è ben distante dall’avere raggiunto gli obiettivi prefissati dagli stati membri dell’Unione nella strategia di Lisbona, che prevedevano, tra le altre cose, il raggiungimento, entro il 2010, di una crescita complessiva del 3 per cento del Pil e un tasso d’occupazione del 70 per cento.
Secondo una ricerca del centro studi Sintesi di Venezia la Sicilia ha una distanza del 100 per cento dagli obiettivi di Lisbona. Tra le regioni italiane è quella messa peggio. Si può obiettare che la Sicilia già parte da una situazione di profondo svantaggio rispetto, ad esempio, alle regioni del nord-est. Ma poco comunque è stato fatto, visto che l’avanzamento complessivo dei vari indicatori è stato dell’1,9 per cento: una crescita inferiore a quelle della Puglia, della Sardegna e della Calabria.
La conferma dello stato delle cose arriva anche dall’ISTAT, che, per valutare e monitorare in modo dettagliato il Quadro comunitario di sostegno 2000-2006, ha creato una banca dati con circa 160 indicatori. Prendiamo ad esempio gli indicatori dell’asse 1, quella relativa alle risorse naturali. Ad agosto del 2009, la Regione era riuscita a pagare 2,1 milioni dei 2,6 impegnati per questo asse. Ma la spesa fatta non sembra essere stata efficace: per citare solo alcuni casi, a proposito della raccolta differenziata dei rifiuti, l’isola, che nel 2000 raccoglieva per il riciclo l’1,9 per cento dei rifiuti, oggi è arrivata al 6,1 per cento, lontanissima dall’obiettivo fissato dalla stessa Regione per il 2007, il 45 per cento. Per fare una comparazione: nel 2000 la Sardegna riciclava l’1,7 per cento dei rifiuti prodotti, e oggi può vantare un incoraggiante 27,8. Anche per quanto riguarda il contrasto all’irregolarità nella distribuzione dell’acqua il progresso è lento: nel 2000 il 33,7 per cento delle famiglie siciliane avevano difficoltà nell’approvigionamento idrico. Nel 2008 il dato è sceso di pochi punti percentuali, attestandosi al 27,9.
Siamo lontanissimi dal raggiungere il traguardo di Lisbona anche per quanto riguarda il tasso di occupazione, salito in otto anni di appena tre punti, dal 41,5 al 44,1 per cento, mentre il tasso di povertà è cresciuto fino al 33,1 per cento. La produttività del lavoro nell’industria in Sicilia è passata dal 48,1 del 2000 al 46,5 del 2008. In flessione anche l’agricoltura e perfino il turismo, nonostante l’immenso patrimonio artistico, monumentale e paesaggistico della nostra isola. Per quanto riguarda la capacità di attrarre investimenti esteri, l’intervento europeo nulla ha potuto: in Sicilia, gli investimenti dall’estero dal 2000 al 2007 sono rimasti fermi allo 0,1 per cento del totale.
A ulteriore riprova del fatto che i fondi europei sono stati spesi male ci sono le denunce arrivate dalla Corte dei conti e dalla stessa Ue, che hanno ammonito gli amministratori siciliani per aver utilizzato parte delle risorse di Bruxelles per coprire buchi di bilancio e spese correnti.
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