Ponte sullo Stretto: perchè dire no (4)

Chi è IMPREGILO
Sarà un’impresa da favola, “la più grande opera d’ingegneria mai concepita dall’uomo, un impresa scientifica seconda soltanto allo sbarco sulla Luna”, come si legge nei testi sacri della Società dello Stretto, per la penna alata del presidente onorario Antonino Calarco. Pensate, la nazione più arretrata d’Occidente in fatto di infrastrutture che realizza di colpo, nelle regioni più povere e mafiose del paese, nel punto più sismico del Mediterraneo, sui terreni più franosi d’Italia, il Ponte a campata unica di tre chilometri e mezzo, con dodici corsie per le auto e due linee ferroviarie. Tutto grazie all’infallibile Impregilo.
E sarebbe davvero così,perché è un progetto mai neppure sognato dai più grandi costruttori di ponti del pianeta, i giapponesi, i quali, poveretti, si sono fermati al chilometro e ottocento metri dell’Akashi, togliendo pure la ferrovia per paura delle vibrazioni fatali.
Chi crede di più al Ponte, o almeno finge bene, è Silvio Berlusconi. Il Ponte è l’opera con cui conta di passare alla storia. Berlusconi si fida di Impregilo, la difende come Ghedini difende lui, senza risparmio: “Sono veri eroi, questi uomini, qualcuno ha cercato di ostacolarli ma loro hanno sempre tenuto duro,” ha detto all’inaugurazione del termovalorizzatore di Acerra. A Impregilo il Cavaliere ha affidato chiavi in mano il futuro del paese: ferrovie, ponti, passanti, centrali nucleari.
Impregilo è uno dei pochi poteri forti rimasti in Italia, anzi, il punto d’incontro di tutti i poteri forti, dai gruppi Benetton, Gavio e Ligresti, fino a Fiat e Generali, e ancora ai due imperi bancari Unicredit e Intesa-San Paolo; ha lavorato sempre e comunque con qualsiasi maggioranza di governo. L’unica maggioranza che ha provato a mettersi di traverso è stata quella del secondo governo Prodi.
Ma chi sono quelli dell’Impregilo? Ce li descrive in modo molto efficace Curzio Maltese ne “La Bolla”: “Sono quelli dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, l’ultimo edificio che sarebbe dovuto crollare per un terremoto, il primo ad andar giù come un castello di sabbia la notte del 6 aprile, sotto una scossa di 6,3 gradi Richter. Che in un ospedale californiano non avrebbe aperto una crepa.
Sono quelli che “il passante di Mestre è un’opera fondamentale per risolvere il traffico del nord-est”. Peccato sia collassato al primo weekend d’agosto in una Caporetto automobilistica: cinquantamila auto nella trincea dei trentacinque gradi all’ombra, sette ore di coda, …..,
Sono quelli che “ai rifiuti di Napoli ci pensiamo noi”. Quelli del termovalorizzatore di Acerra, garantito per la fine del 2001, inaugurato il 26 marzo 2009, chiuso il giorno dopo per collaudi, fra una retata e l’altra di arresti di dirigenti e consulenti.
Quelli dell’Alta Velocità all’italiana, al prezzo di trentotto milioni al chilometro, il triplo di Francia e Spagna. Quelli della condanna a cinque anni in primo grado per Albeno Rubegni, amministratore delegato, Carlo Silva, consigliere delegato, e per il direttore generale Giovanni Guagnozzi per i lavori della Tav in Toscana. Smaltimento illecito di rifiuti, torrenti e falde acquifere prosciugati, terreni contaminati con i rifiuti: un danno stimato dalla Regione in 751 milioni.
Quelli della Salerno-Reggio Calabria, con i ricchi subappalti nelle mani della ‘ndrangheta, secondo una certosina lottizzazione. Il rapporto “Sos Impresa 2007” di Confesercenti definisce la Salerno-Reggio come ‘il corpo di reato più lungo d’Italia’. Un tracciato che disegna la spartizione del potere, le betoniere e gli escavatori segnalano le ‘famiglie’ dominanti sul territorio. Così la cartina stradale diventa un organigramma mafioso”. Come si evince dall’elenco della procura di Reggio Calabria: ” Ai Mancuso, il tratto Pizzo Calabro-San Bruno; ai Pesce, il tratto tra Serre e Rosarno; ai Piromalli, la zona fra Rosario e Gioia Tauro” e dall’altro, più completo, compilato della commissione antimafia: “Alvaro, Tripodi, Piromalli, Pesce, Mancuso, Iannarazzo, Muto,Perna, Rua, Farao-Marincola di Cirò e Forastefano controllano i lotti di tutta l’A3”.
“Le gare sono monopolio della ‘ndrangheta, i cantieri sono permanentemente aperti, gli appalti non si chiudono mai; un’opera interminabile che vive nell’eterno aggiornamento delle tariffe,” scrive l’ex presidente della commissione antimafia Francesco Forgione.
Sono quelli dello scandalo del nuovo Pirellone di Milano, la sultanesca quanto inutile nuova sede della Regione, fortemente voluta e recentemente inaugurata dal governatore Roberto Formigoni, al centro di un’ inchiesta della Procura di Milano che coinvolge varie imprese per via dell’appalto “ampliato a dismisura rispetto ai costi iniziali” con accuse di corruzione, concussione, truffa, turbativa d’asta, false fatturazioni.
Ma la fama del gigante di Sesto San Giovanni attraversa gli oceani, rimbalza fra Vecchio e Nuovo mondo, invade i continenti. Legata ogni volta ad appalti di pessimi governi e a opere finite nel libro nero dell’ecologismo mondiale.
Come il Tunnel d’Occidente colombiano, intorno alla città di Medellin, che avrebbe spopolato un’intera regione.
La diga Chixoy in Guatema, la cui costruzione è stata accompagnata da eccidi e deportazioni.
L’altra diga sul Paranà, al confine tra Argentina e Paraguay, i cui costi sono aumentati in corso d’opera di sette volte per la parte amministrativa.
La diga di Kali Gandaki in Nepal, disastro ambientale di proporzioni bibliche, accompagnata da una strage di operai.
La diga di Katse in Lesotho, considerata la più grave catastrofe ecologica mai toccata allo sfortunato paese africano, con la cancellazione di duemila ettari di terra coltivata e quattromilacinquecento ettari di pascolo, la rovina di migliaia di famiglie di contadini; persino il sospetto di aver provocato l’apertura della faglia che ha prodotto novanta terremoti in sedici mesi.
Desta sopetti il fatto che, a parte alcune isolate prese di posizione, il panorama dell’informazione spazia tra cronache anodine e una schiacciante prevalenza di pregiudizi favorevoli. Nulla che aiuti a capire e a riflettere a cosa stiamo andando incontro.
In un Report d’annata, con un’ottima, ma ormai datata (2002) inchiesta di Stefania Rimini, colpisce una domanda della conduttrice: “L’Impregilo ha vinto l’appalto garantendo un clamoroso ribasso di cinquecentocinquanta milioni e l’appalto le è stato assegnato sulla base finale di 3,9 miliardi. Ma che cosa succede se i costi poi lievitano?” Oggi possiamo dare la risposta che nessuno le diede allora: niente.
L’Impregilo ha vinto perchè ha garantito un costo di 3,9 miliardi. I lavori dovevano cominciare nel 2005 e finire nel 2010, secondo il presidente del Consiglio superiore dei Lavori pubblici nominato da Berlusconi, Aurelio Misiti. Ora il costo è già salito a 6,3 miliardi, senza che sia ancora stata posta la famosa prima pietra, e l’inaugurazione è prevista dopo il 2016.
Le sirene del Ponte-perchè-no si sono fatte beffe in tutti questi anni dei ponderosi studi negativi prodotti dagli avversari – leghe ambientaliste e comitati locali – che con un paziente lavoro di ricerca sono riusciti a documentare senza ombra di ragionevole dubbio l’insostenibilità ambientale ed economica del progetto.
E’ stato facile liquidare ogni opposizione mettendone in scena la caricatura. In questo il dibattito sul Ponte è paradigmatico di tutti gli altri degli ultimi anni. Da un lato gli “uomini del fare”, quelli che vogliono cambiare le cose, magari con metodi spicci. Dall’altra, il fronte dei conservatori, che, aggrappati a mille complesse spiegazioni, vogliono lasciare tutto com’è.
Davanti a un pubblico senza più opinione pubblica, trasformato in platea di spettatori e carne da sondaggio, il gioco funziona sempre.
Puntate precedenti:
Ponte sullo Stretto: perchè dire no (1) Introduzione: la struttura del dossier e le fonti
Ponte sullo Stretto: perchè dire no (2) Tanto paga sempre Pantalone
Ponte sullo Stretto: perchè dire no (3) Le bugie su investitori internazionali e previsioni di traffico

Argo

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