Lo hanno soprannominato “processo breve”, ma forse potrebbe chiamarsi “morte del processo”. Parliamo del disegno di legge 1880, che Antonio Ingroia, procuratore aggiunto di Palermo, ha definito una medicina peggiore dello stesso male. Il male è la “irragionevole” lunghezza dei processi, per la quale la Corte Europea ha già condannato l’Italia. Tutti d’accordo, quindi, sulla diagnosi. Ma qual è la cura proposta? Questa legge risponde davvero all’esigenza di rendere più rapidi i processi?
Se ne è parlato sabato scorso, giorno 16, nel corso di un incontro dibattito organizzato dall’Asaec (Associazione antiestorsione Libero Grassi) nell’aula magna della facoltà di Scienze Politiche. Il procuratore Ingroia, uno dei relatori, ha chiarito alcuni concetti importanti.
Il ddl 1880 prevede sostanzialmente la “estinzione” dei processi penali per i quali è prevista una pena inferiore ai dieci anni di reclusione, se sono trascorsi più di due anni a partire dalla richiesta di rinvio a giudizio del pm senza che sia stata emessa la sentenza. I due anni sono il termine massimo per arrivare a sentenza anche nei due successivi gradi di giudizio (appello e cassazione). L’estinzione si applica anche ai processi in corso che siano ancora al primo grado di giudizio
La legge stabilisce, quindi, i limiti di tempo entro cui devono concludersi le varie fasi del processo, ma non ne determina una velocizzazione. Anzi, come ha detto successivamente la dottoressa Marisa Acagnino della DDA, i tempi dei processi di fatto tenderanno ad allungarsi. Gli avvocati cercheranno, lecitamente, di introdurre richieste dilatorie. Tanto più che i due anni previsti per il processo scattano non dall’inizio del dibattimento ma dal momento in cui il pubblico ministero chiede il rinvio a giudizio dell’imputato.
I processi che non potranno svolgersi nei tempi previsti decadranno. I cittadini non avranno una giustizia più efficiente, anzi rischiano di non avere più alcuna giustizia. Un gran numero di imputati non saranno giudicati, perchè molti processi non arriveranno a sentenza. Questo potrà solo aumentare la disaffezione dei cittadini nei confronti del sistema giudiziario. E non renderà più efficiente la macchina giudiziaria. Rischiamo di avere, ha ribadito Ingroia, una giustizia sommaria, forte con i deboli e debole con i forti. E ancora: “Non facciamoci ingannare dalle etichette: più che di processo breve dovremmo parlare di eutanasia, di morte breve del processo”.
Un processo giusto da effettuarsi in tempi ragonevoli necessita innanzitutto che siano colmati i vuoti di organico, che in Sicilia toccano picchi del 50%. E’ necessario che alla giustizia siano assegnati i fondi, i mezzi e gli uomini di cui avrebbe bisogno per funzionare meglio. Anche Linda Russo Zangara, presidente dell’Asaec, si è chiesta se sia più opportuno porre dei limiti di tempo o risolvere piuttosto le gravi carenze dei tribunali. E l’avvocato Giusi Mascali ha fornito i dati relativi al Tribunale Civile di Catania: 24.000 processi pendenti, con un organico di soli 32 magistrati.
Impegnare i magistrati in anni di indagini, investire risorse e non arrivare a sentenza è molto grave, è un assurdo. E’ una sconfitta per lo stato e per tutti noi.
Il dibattito, a cui hanno partecipato non solo esperti ma anche cittadini comuni e un gruppo di studenti liceali, era stato organizzato anche in vista della votazione al Senato che si sarebbe svolta il giorno 20. Ieri era il 20 gennaio e il decreto è stato approvato. Per adesso chi ne trae giovamento è sicuramente Silvio Berlusconi, perchè i due processi a suo carico (il processo Mills per corruzione in atti giudiziari e quello sui diritti tv di Mediaset) decadranno. E il crac Parmalat, la “scalata” Antonveneta, la truffa dei rifiuti a Napoli, le inchieste su appalti e sanità in Lombardia? Saranno cancellati anch’essi. Con questa legge i processi non diventano più brevi. Semplicemente muoiono.
Leggi l’intervista a Ingroia pubblicata su Articolo 21
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