Diamo la caccia al caccia

Dove finiscono i nostri soldi? Ce lo chiediamo spesso quando si procede a tagli nella scuola, nella sanità, in vari altri servizi,  per manzanza di fondi. Almeno noi che paghiamo le tasse (e purtroppo non siamo tutti) è giusto che ci interroghiamo su come vengano spesi i soldi che versiamo allo stato.
Ebbene una parte non indifferente di questi soldi viene utilizzata per spese militari. E non parliamo qui dell’invio di soldati e mezzi in Afganistan (anche se ci sarebbe parecchio da dire…). Parliamo dell’acquisto di armi moderne e costosissime, sulla cui urgenza e utilità vorremmo interrogarci. Soprattutto noi catanesi che viviamo accanto ad una base militare importante come quella di Sigonella.
Dopo i sofisticati velivoli senza pilota (UAV), di cui abbiamo parlato nel post Il dottor Stranamore a Sigonella, saranno acquistati dal Governo italiano, “131 cacciabombardieri Joint Strike Fighter al costo di 12,9 miliardi di euro, spalmati fino al 2026, completi di relativi equipaggiamenti, supporto logistico iniziale e approntamento delle basi operative”.  In modo rapido e praticamente senza alcun approfondimento sia la Camera sia il Senato hanno espresso parere favorevole ad un acquisto che suscita perplessità persino negli Stati Uniti, dove il GAO (corrispondente alla nostra Corte dei Conti) pare abbia manifestato dei dubbi a causa dell’eccessivo lievitare dei costi e delle scarse garanzie sulla buona riuscita del progetto.
Il progetto è faraonico. Vi partecipano, oltre agli Stati Uniti, altri 8 paesi, tra cui, oltre all’Italia,  Regno Unito, Olanda, Norvegia e Danimarca.  L’allargamento a questi partner serve certamente a coprire i costi molto alti, ma ha anche l’effetto di tarpare le ali all’industria europea della difesa che specialmente con il progetto dell’Eurofighter stava prendendo piede nel mercato. E’ già noto che  la terza tranche di produzione dell’Eurofighter, il programma del caccia europeo, prodotto da Italia, Gran Bretagna, Germania e Spagna sarà ridimensionata.
La ditta capocommessa è l’americana Lokheed Martin Aero. Quella italiana maggiormente coinvolta è l’Alenia Aeronautica che partecipa allo sviluppo ed alla produzione “second source” dell’ala. Secondo il Ministero della Difesa l’adesione a questo progetto permetterà di creare molti posti di lavoro, ma non bisogna dimenticare che si tratterà, almeno in parte, di ricollocazioni di coloro che perderanno il posto di lavoro per i tagli all’Eurofighter.
In questo settore, in genere,  i profitti industriali sono  alti, ma basse sono le ricadute occupazionali in proporzione ai soldi investiti.
Inoltre c’è anche il rischio di una perdita di sovranità, perchè non possediamo i codici del sistema di controllo e rischiamo di ricadere sotto il controllo diretto del Pentagono.
C’è poi un’altra contraddizione. Data la proclamata riduzione delle risorse economiche disponibili, i vertici della Difesa hanno già previsto la diminuzione delle esercitazioni e risparmi nella manutenzione. E’ lecito, a questo punto, chiedersi che senso abbia investire in stratosferici sistemi d’arma se poi non si ha la certezza di poterli fare volare perché mancano i fondi per il carburante o per i pezzi di ricambio.
Molte incoerenze e molti interrogativi.  Le domande aperte su questo progetto sono talmente tante che resta difficile capire quale sia la spinta ad accelerare i tempi di firma del contratto di produzione. Si rischia di pensare male…
C’è, però, anche spazio per agire. Lo stanno facendo la Rete Italiana per il disarmo e la campagna Sbilanciamoci! (che unisce diverse organizzazioni della società civile). Con una raccolta di firme e la  presentazione di un appello in cui si chiede di utilizzare diversamente i 16 miliardi di euro previsti per il progetto.
“Con 16 miliardi di euro si possono inoltre fare molte altre cose in alternativa. Ad esempio si possono contemporaneamente costruire 3000 nuovi asili nido, costruire 8 milioni di pannelli solari, dare a tutti i collaboratori a progetto la stessa indennità di disoccupazione dei lavoratori dipendenti, allargare la cassa integrazione a tutte le piccole imprese.
Il Governo, in questo spinto anche dal Parlamento, faccia una scelta di pace e di solidarietà; blocchi la prosecuzione del programma destinando le risorse così liberate alla società, all’ambiente, al lavoro, alla solidarietà internazionale.”
La possibilità di ripensarci ancora c’è. La Norvegia ha già sospeso la sua partecipazione.
Leggi il testo integrale dell’appello
Firma la petizione.
Leggi la scheda sul progetto JFS elaborata dagli organizzatori della mobilitazione

Argo

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