Piange il telefono

La lettura dell’ultimo libro del procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, C’era una volta l’intercettazione non induce certo all’allegria .
Come ribadisce anche in una intervista pubblicata su Asud’Europa (a questo proposito vedi anche Appesi a un filo e Mettere  a tacere), le intercettazioni sono state “uno strumento non solo preziosissimo ma direi indispensabile soprattutto per un certo tipo di indagini: sulle organizzazioni segrete,
sulle organizzazioni mafiose, sull’organizzazione del potere, per fatti di corruzione, e così via.
Introdurre, come viene introdotto con questa legge, il principio che per avviare un’intercettazione occorrono in pratica gli stessi elementi di prova e gli stessi indizi che occorrono per avviare un provvedimento cautelare, significa sostanzialmente annullare qualsiasi funzione delle intercettazioni. Intercettazioni che servono per trovare le prove, mentre con questa legge servono le prove per iniziare le intercettazioni”.
Ma la sua analisi non si ferma solo alle intercettazioni. Esse sono solo “un anello di una catena che viene da molto lontano e che vuole andare lontano. E l’orizzonte che si prospetta non è un orizzonte positivo ma fosco e preoccupante, nel quale l’efficienza del controllo della legalità nel nostro Paese sarà sempre più bassa e un potere come quello giudiziario, indispensabile in uno stato di diritto, diventerà sostanzialmente inidoneo a svolgere il proprio ruolo…
Rispetto a questa catena la legge sul cosiddetto processo breve si muove nello stesso senso. E’ una legge sbagliata: si tratta in effetti di una sorta di “truffa dell’etichetta”, si potrebbe ribattezzare meglio “legge della morte breve del processo”, in quanto sostanzialmente  introduce un’ulteriore impunità con uno sbarramento temporale. Sbarramento che, se non si danno risorse finanziarie e legislative per svolgere davvero processi in tempi brevi, farà sì che non si arriverà mai a sentenza. Ecco quindi la “morte breve” del processo.
A questo proposito vi è una presa di posizione autorevole della Unione Nazionale Camere Minorili con un Documento che affronta tutte le conseguenze nefaste del “processo breve” sui procedimenti a carico dei minori.
“Altra riforma particolarmente insidiosa, si potrebbe dire meglio “controriforma”, – afferma Ingroia – è quella relativa al processo penale, con un “nucleo” particolarmente allarmante, costituito da una norma “scaltra”, che in modo surrettizio realizza un obiettivo che si è perseguito per anni senza riuscire a realizzarlo per le forti resistenze nel mondo giudiziario e in quello dei giuristi, peraltro con difficoltà di compatibilità costituzionali, quella della separazione delle carriere, soprattutto per l’assoggettamento del pubblico ministero all’esecutivo. […] Tuttavia l’obiettivo ultimo della riforma non è “punire” il pubblico ministero, ma controllare l’esercizio dell’azione penale.”
Non essendo riusciti a mettere in atto in modo diretto e frontale la separazione delle carriere, si è studiato un modo, diciamo più elusivo di realizzare lo stesso obiettivo: controllare politicamente l’esercizio dell’azione penale senza dover necessariamente sottoporre il pubblico ministero al controllo dell’esecutivo.
Nel momento in cui si attribuisce non più al pubblico ministero, ma solo alla polizia giudiziaria, il potere di indagine in sé, cioè il potere di iniziare un’indagine, di fatto questo potere sarà concentrato nelle mani di organi che autonomi non sono, perché la polizia giudiziaria, a differenza della magistratura, è sottoposta agli indirizzi del potere esecutivo.
In questo modo è come se il potere politico avocasse a sé il potere di iniziare le indagini. Con le conseguenze, facilmente prevedibili, che saranno molto più difficili indagini sui potenti, su uomini del potere, su uomini politici.
Questo controllo potrà avvenire in vari modi. Disponendo ad esempio del potere che il politico ha, attraverso il ministro di turno, di trasferimento d’ufficio, anche non motivato e ampiamente discrezionale, nei confronti dei funzionari della polizia giudiziaria, possibilità che invece non può esercitare nei confronti dei pubblici ministeri.
Oggi la maggiore garanzia delle indagini svolte dalla polizia giudiziaria è costituita proprio dai pubblici ministeri, dei quali si limita ad eseguire direttive e deleghe.
Se si attribuisce invece un potere discrezionale alla polizia giudiziaria, e si esclude che sia il pm ad avviare le indagini, evidentemente si determina per questa via il controllo dell’iniziativa della polizia giudiziaria.

Argo

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