Sul sito del Coordinamento dei precari della ricerca dell’Università di Catania (Non tagliateci le gambe. Salviamo la ricerca) è
Talora, anche se non sempre, questi insegnamenti sono stati affidati a ricercatori precari. “La maggior parte di queste docenze – retribuite e non – viene, difatti, affidata a giovani ricercatori in attesa di accedere ai ruoli a tempo indeterminato e l’accettazione di questi incarichi è per loro condizione ineludibile per mantenere un rapporto di continuità di lavoro – didattico e di ricerca – con l’Università. ”
In sostanza l’Ateneo, a corto di fondi, utilizza non solo professori interni, ma anche dei giovani, che lavorano senza legittima retribuzione e vengono caricati di una serie di impegni che li allontanano dalla loro attività principale, quella della ricerca. Ne consegue che: la ricerca viene sacrificata e impoverita, la didattica non guadagna in qualità perchè svolta da persone che spesso non l’hanno scelta e non sempre sono interessate ad acquisire la necessaria professionalità.
I ricercatori precari hanno chiesto al Rettore e ai Presidi di facoltà del nostro Ateneo di “sospendere i concorsi pubblici per il conferimento di incarichi didattici a titolo gratuito”, di avviare un “dibattito pubblico sulle future politiche didattiche” e di aprire un tavolo di contrattazione fra le varie componenti della realtà universitaria “per affrontare la questione del precariato della ricerca nel nostro Ateneo”. ( Leggi nel nostro archivio il testo “La didattica non sarà mai il mio mestiere”)
Le problematiche di cui sopra potrebbero essere risolte dalla approvazione della nuova proposta di legge sull’Università, che è stata varata dal Consiglio dei ministi e deve passare al vaglio del Parlamento. Pare, infatti, che la figura del docente a titolo gratuito venga espressamente vietata. Una buona notizia, dunque? Forse. Insieme a quella che, dopo sei anni di contratti a tempo determinato, i ricercatori potrebbero divenire, se ben valutati, professori associati. Ma: ci saranno i soldi necessari? e chi farà le valutazioni? Questa è solo una delle perplessità avanzate dal professor Salvatore Settis nella sua analisi della proposta Gelmini. Altre preoccupazioni riguardano le trasformazione che il disegno di legge potrebbe subire nel suo iter parlamentare e soprattutto viene evidenziato il “nodo degli investimenti”. (Leggi nel nostro archivio Università, i rischi della riforma Gelmini di Salvatore Settis)
Fino a quando, infatti, il governo non investirà nella scuola, nella università e nella ricerca, non ci sarà per l’Italia nessuna possibilità di sviluppo. Le dichiarazioni di principio sul merito, sulla qualità, sull’efficienza sono e resteranno solo parole. Spesso negate dalle stesse direttive impartite, come abbiamo visto nel recente commento da noi pubblicato alla “nota” del ministro Gelmini sui corsi di laurea (De profundis per l’Università pubblica).
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