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Gian Carlo Caselli, una guerra vinta ed una perduta

Non c’era una folla da stadio nell’aula magna “Santo Mazzarino” del monastero dei Benedettini di Catania, ma un tifo da stadio sì. Entusiasmo, calore e riconoscenza per il lavoro svolto nelle trincee della lotta alla mafia sono stati tributati a Gian Carlo Caselli che, il 24 settembre,  ha presentato il suo libro “Le due guerre”, scritto a quattro mani con il figlio giornalista.
Le due guerre sono, la prima contro il terrorismo. Vinta. E la seconda contro la mafia. Ancora in corso…se non, almeno per il momento, persa.
Al magistrato ha dato il benvenuto  Grazia Giurato di Cittainsieme, associazione che ha voluto l’incontro.
Della difficoltà di una vita blindata ha poi parlato la giornalista Pinella Leocata che ha ricordato i sette anni palermitani di Caselli, la sua vita, da solo, in un grande edificio vuoto, con i sacchi di sabbia e i presìdi militari, che non riuscivano però a scoraggiare i  boss dal progettare attentati.  La giornalista ha messo in luce le differenze tra terroristi e mafiosi. I primi isolati dalla società  che li viveva come altro da sè, i secondi spesso assorbiti con il meccanismo dell’identificazione per i troppi interessi diffusi.
Critico l’intervento di Salvatore Aleo, ordinario di Diritto penale all’Università di Catania, che ha definito il libro di Caselli “sobrio”, “carico di valori e di sentimenti, pieno di dettagli di grande tenerezza per tutti”, tanto sobrio -secondo Aleo-  da trascurare il rapporto perverso tra mafia e professioni, “il ruolo degli avvocati, degli ingegneri, dei medici, dei magistrati, dei poliziotti”.
Una critica che Caselli ha rigettato, pagine del libro alla mano, prima di salutare anzitempo l’uditorio e correre in aeroporto. Lì ha preso un aereo per dare l’estremo saluto ad un suo fraterno amico, Maurizio Laudi, altro giudice antiterrorismo, morto improvvisamente d’infarto il 24 settembre.


Argo

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