Filt Cgil, Fit Cisl e Uiltrasporti denunciano l’ultimo “assalto” a un mezzo dell’Amt nel quartiere catanese (il terzo in un mese) e la volontà degli autisti di non voler più svolgere servizio nelle vetture che vi sono dirette.
Come non rendersi conto che tutto questo è frutto e conseguenza logica della scellerata politica che ha voluto concentrare in alcune zone della città strati marginali della popolazione, a lungo lasciati senza servizi essenziali. Ogni anno l’ex presidente del tribunale per i minorenni Giambattista Scidà, a commento delle statistiche sugli arresti a Catania, chiedeva con forza allo Stato una presenza più consistente delle forze dell’ordine e agli amministratori locali una seria politica di interventi strutturali e non episodici. A oltre trent’anni, nulla sembra essere cambiato. Nulla è cambiato per i vecchi “quartieri di degrado dove la popolazione cambia sempre in peggio, anche a causa di un processo di caduta del livello dei fitti (quindi più facile reperimento di abitazioni) che comporta un concentramento a livelli complessivi sempre più bassi di reddito, di istruzione, di modelli di vita, di deprivazione…, (spesso accompagnato dal) perpetuarsi di subculture con connotazioni delinquenziali sempre più forti” (Scidà, intervista in una ricerca del Censis di oltre vent’anni fa sulla dispersione scolastica).
Così come nulla è cambiato per i “quartieri popolari nuovi della periferia urbana, espressione di una politica costante dell’Amministrazione comunale, caratterizzati da insediamenti costruiti da mano pubblica o da imprese private per vendita a prezzi accessibili degli appartamenti e privi dei servizi più elementari. In questi si verifica un popolamento selettivo. Dai quartieri di provenienza che hanno la loro salutare disomogeneità, vengono segmenti poveri della popolazione con l’effetto che nel quartiere di insediamento l’omogeneità è massima, ed è massima a livello bassissimo. Ciò già patologizza l’insieme, ma si verifica nel frattempo che il “povero”, a causa di questo espianto, ha perduto la rete di relazioni che esce dal vicinato e dalla parentela, con l’effetto che si ritrova ad essere oltre che povero anche isolato. Le forme di socialità stentano a impiantarsi, il quartiere è senza storia, la vita collettiva è scarsa anche per l’inesistenza di qualsiasi luogo di aggregazione, anche spontaneo. Questi ultimi sono quartieri nuovi di una città che non ha saputo affrontare né i problemi del vecchio, né quelli dell’impianto del nuovo: una città che non ha amministrato, che ha governato se stessa ed il proprio destino nei termini di uno sgoverno sistematico – per chi adotta un’ottica civica – o nei termini di un mirato perseguimento di altri obiettivi se si leggono le cose secondo come sono andate avvenendo” (Scidà, idem).
Dopo vent’anni, le statistiche sulla criminalità vedono ancora rilevanti le percentuali di reati commessi da chi risiede in quartieri vecchi come San Cristoforo, Picanello, Angeli Custodi, ecc., o in quartieri popolari di periferia, come Trappeto Nord, Librino, Monte Po, dove all’edilizia popolare si sono aggiunte case in cooperativa, ma senza che questo abbia creato nuove relazioni.
Certamente in questi vent’anni qualcosa è stato fatto (insediamento di qualche posto di polizia e di un poliambulatorio sanitario), ma più frequenti sono state le iniziative di breve durata (inaugurazione di spazi di socialità: teatro, impianti sportivi), abbandonate al loro destino subito dopo le campagne elettorali. Più serie e più durature quelle intraprese da chi vive in quei quartieri e non si rassegna al triste destino determinato dalle scellerate politiche amministrative o da gruppi di volontariato che si sono insediati al loro interno. Basti citare, tra gli altri, il gruppo dei Briganti e la sua proposta sportiva di alto livello, i centri Iqbal Mashi e Talità kum, il ruolo attivo della locale sezione della CGIL e così via. Ma le dimensioni del quartiere sono tali da rendere poco visibili l’impegno e le proposte di questi gruppi.
E’ evidente che di fronte a disastri gestionali di decenni le soluzioni non possono essere immediate, ma non ci sembra avvertire una inversione di tendenza della politica degli ultimi decenni. In occasione delle ultime elezioni abbiamo dato risalto alla piattaforma per Librino, redatta dalle associazioni del quartiere. Cosa è stato fatto da allora a Librino e negli altri quartieri che necessitano di attenzioni particolari?
Le pietre sono espressione di un senso di estraneità fra quel territorio e il resto della città. Ognuno faccia il proprio dovere: gli amministratori pubblici attuino una seria politica di riabilitazione di tutte le aree degradate, gli abitanti di questi territori esprimano la loro voglia di legalità e di integrazione con il resto della città, gli altri cittadini mettano da parte i pregiudizi e gli stereotipi che sono alla base della diffidenza e dei timori.
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In certe zone bisogna intervenire in maniera diversa. Autobus con telecamere? bisogna fare un tentativo