Il Centro Astalli – servizio dei gesuiti per i rifugiati – insieme ad altre associazioni, tra cui il Gruppo Abele,
L’esposto si riferisce ai ben noti fatti del 7 maggio 2009, quando 227 persone, uomini e donne, sono state soccorse a 35 miglia marittime dall’isola di Lampedusa da mezzi della nostra marina. I migranti, accolti a bordo di alcune navi militari italiane, sono stati immediatamente portati in Libia, dove sono stati consegnati alle autorità. Nessuna delle persone trasportate in Libia è stata identificata: non ne sono state accertate nazionalità, eventuali richieste di asilo internazionale, stato di salute, minore età o stato di gravidanza. L’episodio è stato qualificato dal Ministro dell’Interno Maroni come “risultato storico”.
Com’è noto, nei giorni successivi i respingimenti sono continuati.
Non è possibile escludere che tra i migranti riportati in Libia vi fossero anche rifugiati che avrebbero avuto il diritto – inviolabile – di accedere alla procedura per il riconoscimento della protezione internazionale in Italia. Anzi, è ragionevole e verosimile pensare che così fosse: basti pensare che l’agenzia O.N.U. per i rifugiati (UNHCR) ha rilevato che nel 2008 circa il 75% di coloro giunti in Italia via mare ha fatto richiesta di asilo e al 50% di questi è stata concessa una forma di protezione internazionale.
L’alta percentuale di accoglimento delle richieste d’asilo comprova che fra le persone che attraversano il Mediterraneo per approdare sulle nostre coste sono in molti ad avere diritto allo status di rifugiati. Non ci sembra superfluo ricordare che la Convenzione di Ginevra relativa allo status dei rifugiati, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, la Convenzione ONU contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, il Patto internazionale sui diritti civili e politici proibiscono il respingimento, diretto o indiretto, di richiedenti asilo.
Il movimento di migranti attraverso i mari è regolamentato da precisi accordi internazionali, ratificati anche dal nostro paese. Il diritto internazionale ribadisce più volte che l’obbligo di salvaguardare la vita umana in mare riguarda tutte le persone, indipendentemente dalle attività in cui sono impegnate. Il soccorso deve essere garantito indipendentemente dalla nazionalità, dallo status o dalle circostanze nelle quali si trovano le persone in pericolo e ogni persona intercettata e salvata in mare deve essere condotta in un “luogo sicuro”.
Il territorio Libico non può essere considerato territorio sicuro, e non solo, in astratto, perché la Libia non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, ma soprattutto perché le violazioni dei diritti umani perpetrate a danno dei migranti sembrano essere una costante, come attestato da numerosi rapporti di organismi internazionali e molteplici testimonianze.
Inoltre, poiché ai sensi dell’art. 4 del codice penale italiano “Le navi e gli aeromobili italiani sono considerati come territorio dello Stato”, l’aver trasbordato su unità navali italiane i migranti intercettati in acque internazionali obbligava, e obbliga, le autorità italiane ad applicare sia il diritto internazionale, che quello comunitario e, non da ultimo, quello nazionale. La presenza di accordi con un altro paese al quale vengono rinviati gli immigrati non priva il paese di partenza dei suoi obblighi.
Il diritto internazionale prevede che gli stati abbiano responsabilità anche su tutti coloro che, se rimpatriati o condotti in paesi terzi, rischierebbero di essere sottoposti a tortura, mutilazioni, trattamenti inumani e degradanti (art. 3 della Convenzione ONU contro la tortura).
Anche l’interpretazione dell’art. 7 del Patto Internazionale sui Diritti Civili e Politici, data dal Comitato per i Diritti Umani con il General Comment n. 20: Art. 7 (10/03/1992), si muove nella medesima ottica, affermando al par. 9 che “Gli Stati parte non devono esporre gli individui al pericolo di tortura e altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti al ritorno in un altro Paese, a seguito della loro estradizione, espulsione o refoulement”.
Con la politica dei respingimenti il nostro paese sembra dimenticarsi di una quantità di norme e leggi del diritto internazionale. Ma soprattutto a preoccuparci è l‘amnesia che i nostri governanti e molti nostri connazionali hanno nei confronti di qualsiasi pietà e senso di giustizia.
Oltre a ignorare le leggi di Creonte, gli italiani stanno dimenticando la legge di Antigone.
Il testo dell’esposto
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Respingere i respingimentii
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