Non tutte le società hanno apprezzato questa novità. “Il fronte del no è guidato dal Catania
– mentre altri grandi club come Napoli, Roma, Lazio e Udinese rimangono nell’ombra e non si adeguano – che ha lanciato una vera sfida all’articolo 9 del provvedimento: quello che nega la tessera del tifoso a chiunque sia stato diffidato negli ultimi 5 anni.
Secondo Pietro Lo Monaco, amministratore delegato della società etnea, la norma è incostituzionale perché nega l’ingresso allo stadio anche a chi, colpito nel quinquennio dal Daspo, ha già pagato il suo debito con la giustizia sportiva e penale. E la data limite del 1° gennaio per le trasferte? È un provvedimento da regime totalitario, replica l’ad del Catania: E poi chi la paga questa carta? Il Catania ha già speso 2 milioni per adeguarsi alle nuove direttive sulla sicurezza”. (Yahoo! Sport)
Posizione, quest’ultima, condivisa da Lorenzo Contucci, avvocato di molti ultras ed esperto del pacchetto antiviolenza negli stadi, che non è, in linea generale, contrario a interventi mirati ma non condivide la “filosofia” del provvedimento per l’eccessiva e discutibile generalizzazione delle norme, come nel caso in cui viene negato il diritto alla tessera a tutti i soggetti che hanno ricevuto una diffida, in qualunque anno, per qualsiasi ragione e qualsiasi sia stato l’esito del procedimento penale.
Ma qual è il contesto in cui avviene questo scontro?
Tre quotidiani sportivi, grande attenzione nei giornali “politici”, enorme spazio nei palinsesti televisivi: lo sport, ma soprattutto il calcio – in Italia – è costantemente al centro dell’attenzione. “Calciopoli”, ingaggi e spese faraoniche non ne hanno rimesso in discussione la centralità. La presenza di ingenti forze di polizia all’interno degli stadi, gli scontri prima, durante e dopo le partite, i cori, e gli striscioni, vergognosi di una parte delle “tifoserie” sono, al massimo, oggetto di rituali esecrazioni, dettagli poco significativi di uno spettacolo che deve andare avanti. In sostanza, associare ad una partita di calcio problemi di ordine pubblico è diventato “normale”.
Senza avventurarsi in complicate analisi sociologiche, non crediamo di chiedere la luna se pretendiamo che il rapporto fra i gruppi Ultras e le società debba cambiare radicalmente, proprio per ridare al calcio quella credibilità oggi rimessa profondamente in discussione. La sensazione è quella che, avendo ridotto il tutto a un problema di ordine pubblico, alla fine non resta altra via che quella di “buttare il bambino con l’acqua sporca”. Ovvero, non si rimette in discussione il rapporto Società-Ultras, non si lavora per costruire un approccio culturale diverso, tale da permettere a tutti di recarsi con tranquillità allo stadio e si pensa che la repressione, da sola, sia in grado di risolvere un problema così complesso.
Anche Lippi, allenatore della nazionale, non condivide la strada intrapresa: “la tessera del tifoso in trasferta non mi piace. E’ una cosa che ghettizza. (…) A sentire l’espressione ‘scheda del tifoso’, mi viene da pensare ai supporter che il sabato sera sono a cena e hanno in mente di andare a vedere la partita il giorno dopo a Milano o a Torino, ma poi non possono farlo perchè non hanno la tessera. Diciamo che qualsiasi forma di schedatura non mi piace, tanto meno quella che riguarda i tifosi”.
Prendiamolo come un invito ad affrontare queste problematiche con un approccio diverso che, puntando sulla responsabilizzazione di tutti i soggetti e sulla partecipazione attiva, sia capace di modificare il “senso di una partita di calcio”, quello attuale ha poco a che vedere con l’essere sportivi.
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