“Catania sta male, ma non malissimo”. Questa sembrerebbe essere la chiave di lettura dei dati del ‘Report sull’economia della provincia di Catania’ presentati dall’Ufficio studi della Camera di Commercio di Catania, presentati lo scorso 8 maggio nel corso della “Giornata dell’economia“, a cui hanno preso parte imprenditori, docenti universitari, economisti, associazioni di categoria, aziende e funzionari dell’ente camerale. Obiettivo: analizzare, per poi descrivere, l’economia reale della città, il trend delle imprese e della forza lavoro, i servizi, l’innovazione tecnologica.
Ma, a scorrere nei dettagli le informazioni emerse nel corso della giornata, sembra
un modo di leggere la realtà ispirata alla raccomandazione (si fa per dire) berlusconiana di non spargere notizie pessimistiche perché, come si legge nello stesso comunicato stampa, “il calo è generalizzato in tutti i settori, industria compresa, soprattutto quella edilizia. L’agricoltura rallenta, i centri commerciali non producono nuove risorse ma semmai le spostano, e le infrastrutture non sono all’altezza dei bisogni della popolazione, incidendo negativamente pure sul turismo. La crisi è forte e diminuirà nel 2010 per poi scomparire forse non prima del 2011, (…) ma mancano i fondamentali per poter garantire una rapida ripresa, e purtroppo anche la scolarizzazione. Pensiamo alle infrastrutture: regge solo la realtà portuale e il trasporto aereo.”
Alfio Pagliaro, segretario generale della Camera di commercio di Catania, nell’introdurre i lavori ha sottolineato, fra i fattori di competitività catanesi, tre elementi: “il primo è rappresentato dalla dinamica imprenditoriale, che segnaliamo come negativa. Nel 2007 si era registrata una contrazione di imprese di pari a 6689 imprese cessate, che nel 2008 diventano 8340, con un tasso di sviluppo di – 1,8% (in Sicilia è di -1,1%, in Italia -0,4). Il secondo elemento, stavolta positivo, è quello legato alla forza di attrazione del territorio rispetto agli investimenti. Un esempio è dato dal fatto che le assunzioni delle imprese con sede legale fuori Catania ma che investono nella nostra città, sono più alte rispetto alle assunzioni effettuate dalle imprese catanesi che invece investono fuori. Ultimo elemento da notare, sempre negativo è appunto quello legato alle infrastrutture, la cui dotazione nella nostra provincia è debole. E’ vero che Catania su questo fronte presenta un valore di ben tredici punti percentuali rispetto alle altre città, ma ciò avviene solo per la forte presenza di porto e aeroporto. La dotazione di reti viarie e ferroviarie, purtroppo è oggettivamente molto bassa”.
Rosario Faraci, ordinario di Economia e gestione delle imprese dell’Università di Catania, ha voluto comunque sottolineare come “la voglia di fare impresa rimane intatta e cresce addirittura in alcuni settori dell’economia come i servizi, gli alberghi e i ristoranti” portando come prova la diminuzione del numero di imprese individuali, e, seppur lievemente, delle società di persone, confrontato con un aumento costante delle società di capitali registratosi anche nel 2007 rispetto al 2006 con una percentuale dell’1%; a suo modo di vedere è sintomo della propensione della nostra imprenditoria ad evolversi verso forme più complesse.
Ma alla data del 31 dicembre 2008, il tessuto produttivo catanese, costituito da 85.916 imprese attive, è ancora caratterizzato da un consistente numero di piccole e medie imprese (le ditte individuali rappresentano il 75,27% del totale delle imprese registrate) e da un numero limitato di grandi imprese.
La distribuzione per settore economico resta sempre fortemente concentrata sui settori tradizionali: commercio 36,02%, agricoltura 20,59%, costruzioni 11,97%, attività manifatturiere 10,26%. Queste quattro categorie racchiudono da sole il 78,84% dell’intero tessuto produttivo, mentre il tessuto imprenditoriale è caratterizzato dalle imprese artigiane attive che rappresentano il 22,7% del totale.
Rimane invece modesta l’incidenza della ricettività alberghiera e dei servizi connessi, con una quota che, a livello provinciale, è del 2,85%, mentre risulta leggermente più alto quello di Catania (3,25%), rinviando a data da destinarsi il sogno di fare del turismo uno degli assi portanti per il rilancio della nostra economia. D’altra parte i turisti cosa dovrebbero venire a fare: la visita al centro storico si fa in mezza giornata, dopo di che c’è il vuoto o quasi.
Si tratta in buona sostanza della riconferma del fallimento del progetto di industrializzazione avviato negli anni Cinquanta e dell’immagine di un sistema economico prevalentemente fondato sulla microimprenditorialità e sui consumi che certamente incide anche sul grado di competitività economica della provincia, i cui risultati sono modesti, soprattutto se confrontati ai valori più alti registrati in altre province.
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