Categories: Immigrazione

Conseguenze di un rimpatrio forzato

Da Simonetta Cormaci, vice-responsabile del gruppo catanese Italia72 di Amnesty International, riceviamo la segnalazione di un caso che ha una significato emblematico.
Ecco come viene presentato sul sito nazionale di Amnesty
Tunisia: Ali Ben Sassi Toumi a rischio di tortura dopo l’espulsione dall’Italia
Ali Ben Sassi Toumi, cittadino tunisino di 44 anni, è stato arrestato all’aeroporto di Tunisi, dopo il rimpatrio forzato effettuato dall’Italia il 2 agosto 2009. Ha inviato un SMS a sua moglie in Italia per dirle che era arrivato, ma non ha mai incontrato l’amico che lo stava aspettando all’aeroporto, e la sua famiglia non lo ha più sentito da quel momento. Si crede sia trattenuto presso il Dipartimento di sicurezza di stato (Dss) del ministero degli Interni a Tunisi, dove i detenuti incommunicado sono a rischio di tortura e di maltrattamenti.
Le autorità tunisine non hanno informato nessun familiare sulle ragioni e sul luogo di detenzione di Ali Ben Sassi Toumi, come previsto dalla legge tunisina, e nonostante le richieste del suo avvocato.
Ali Ben Sassi Toumi era stato rilasciato dal carcere di Benevento, in Italia, il 18 maggio 2009, dopo aver scontato quattro anni di detenzione per la condanna di appartenenza ad una cellula terroristica in Italia e per le attività di reclutamento di combattenti in Iraq. Ali Ben Sassi Toumi aveva fatto richiesta per ottenere asilo in Italia, vedendosela rigettare perché riconosciuto colpevole di aver commesso un “reato grave”. Dopo il rilascio dal carcere, è stato trattenuto presso il Centro di identificazione ed espulsione (Cie) di Isola di Capo Rizzuto, in provincia di Crotone.
Ali Ben Sassi Toumi è stato rinviato in Tunisia nonostante la Corte europea dei diritti umani avesse richiesto tre volte alle autorità italiane di sospendere l’espulsione, ritenendolo a rischio di tortura e maltrattamenti in Tunisia.
Ulteriori informazioni
Negli ultimi anni, Amnesty International ha ricevuto numerose denunce di casi di tortura e altri maltrattamenti da parte delle forze di sicurezza tunisine. In quasi tutti i casi, le denunce di tortura non vengono sottoposte a indagine né i responsabili vengono assicurati alla giustizia. Le persone sono più a rischio di subire tortura quando si trovano in detenzione incommunicado. I metodi più comuni di tortura sono le bastonate sul corpo, in particolar modo sulle piante dei piedi; la sospensione per le caviglie o in posizioni scomode; elettroshock e bruciature da sigarette.
In quanto stato parte della Convenzione contro la tortura e gli altri trattamenti o punizioni crudeli, inumani o degradanti, la Tunisia ha l’obbligo di prevenire la tortura e di provvedere “affinché le autorità competenti procedano immediatamente ad un’inchiesta imparziale ogniqualvolta vi siano ragionevoli motivi di credere che un atto di tortura sia stato commesso in un territorio sotto la sua giurisdizione”.
L’Italia ha già altre volte disatteso le decisioni della Corte Europea dei diritti umani relativamente alla sospensione di provvedimenti di espulsione verso la Tunisia di persone a rischio di tortura e trattamenti inumani o degradanti. In particolare nel 2008, rispettivamente a giugno e a dicembre, il Governo italiano ha espulso in Tunisia Sami Essid Ben Khemais e Mourad Trebelsi, per i quali la Corte aveva richiesto la sospensione dell’espulsione in attesa della definizione del ricorso, ai sensi dell’art.39 del proprio Regolamento. A febbraio 2009 la Corte ha stabilito che l’Italia, rimpatriando Ben Khemais, ha violato l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti umani, che vieta la tortura e i trattamenti inumani e degradanti.
Sul problema dei rimpatri forzati, leggi la presa di posizione di Amnesty.

Argo

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