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La sanità malata

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russo_lombardo_n3Molte sono le dichiarazioni di buoni principi contenuti nella legge di riordino del Sistema Sanitario Regionale in corso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della Regione Siciliana.  Altrettanti sono i dubbi circa la capacità effettiva che possano essere tradotte in buona gestione.
Abbiamo prova di quanto siano consistenti gli interessi attorno al sistema sanitario quando qualche denuncia o inchiesta svela intrecci illeciti. E non sono passate inosservate le dichiarazioni quotidiane apparse sui quotidiani regionali che facevano presagire una crisi del governo regionale ad opera di esponenti della stessa maggioranza.
Analizzando il un documento di sintesi che è presente sul sito della Regione, si rilevano alcuni cambiamenti, che andranno in vigore a partire dal 1 settembre, come ad esempio la riduzione del numero delle aziende sanitarie e ospedaliere (da 29 a 17), che comporterà la conseguente riduzione del numero dei direttori generali, ma un considerevole aumento dei dirigenti intermedi: dall’aggregazione delle Aziende ospedaliere soppresse, come quelle di Caltagirone o Enna,  con uno o più presidi ospedalieri minori nasceranno, infatti, i nuovi 20 distretti ospedalieri che saranno affidati ognuno a un coordinatore amministrativo e a un coordinatore sanitario. A questi si debbono ancora aggiungere i distretti sanitari, in numero ancora da definire, che saranno anch’essi diretti da coordinatori amministrativi e sanitari.
 Tutto questo, però, inciderà poco e niente sulla qualità dell’assistenza, se non si realizzeranno tutti gli altri imperativi annunciati nella legge di riordino:

  • nuovi strumenti e procedure di programmazione, organizzazione e ordinamento del servizio sanitario regionale, di erogazione delle prestazioni, dei criteri di finanziamento, delle disposizioni patrimoniali, della parità di accesso tra soggetti pubblici e privati accreditati;
  • programmazione delle attività da svolgere tenendo presenti i vincoli di bilancio;
  • maggiore potere di controllo dell’assessore regionale;
  • valutazione dei direttori generali affidata a un soggetto esterno;
  • divieto di appalto di servizi e di consulenze esterne per l’espletamento di funzioni il cui esercizio rientra tra le competenze degli uffici o unità operative delle aziende sanitarie.

Attendiamo di poter disporre del testo della legge per verificare se e quanto questi imperativi presentino modalità diverse da quelle già in atto: già nel 1992 alcuni di questi principi furono enunciati con analoga enfasi, ribaditi 14 anni addietro attraverso la legge sulla aziendalizzazione, ma – salvo rare eccezioni – non si sono concretizzati in buona gestione.
In questi 14 anni di gestione aziendale poco o nulla, infatti, si è realizzato a proposito di una offerta più razionale sul territorio: grandi ospedali concentrati sullo steso territorio con duplicazione di stessi servizi, piccoli presidi ospedalieri con personale insufficiente e un’offerta di servizi poco qualificata, sopravvivenza di realtà inutili solo per mantenere inalterata la funzione primariale o per garantire la sede lavorativa (magari vicino casa), scarsa trasparenza (e a volte libero arbitrio) nell’attribuzione di incarichi dirigenziali e di consulenza, rigidità nell’offerta di servizi legata alla incapacità di riconvertire (o trasferire) personale e prestazioni per riuscire a offrire risposte ad altri bisogni che oggi vengono soddisfatti soprattutto ricorrendo al privato a pagamento (risonanza magnetica, Tac, riabilitazione fisiatrica, ecc.).
Anche di recente le scelte che sono state fatte per il piano di rientro economico hanno fatto trasparire la poca razionalità e capacità gestionale. Ogni buon padre di famiglia sa che se in un mese guadagna il 10% in meno rispetto al mese precedente non pensa di ridurre in maniera rigida tutte le spese del 10%: alcune saranno ridotte o eliminate del tutto (cena al ristorante e altro di voluttuario), altre rimarranno inalterate (latte per i bambini e quant’altro di necessario). Il mondo della sanità invece non è stato capace di scegliere, imporre una direzione, salvaguardare i più deboli, per cui, nell’autunno dello scorso anno, gli utenti si sono sentiti rispondere che non potevano più essere erogati presidi indispensabili per i portatori di handicap perché vi era il “piano di rientro”: tutte le spese ridotte del 10% rispetto all’anno precedente. Altro esempio è la gestione del patrimonio immobiliare: edifici storici adibiti da sempre a funzioni sanitarie sono stati “venduti” a privati (per ragioni di bilancio), ma vengono ancora utilizzati (come inquilini) e per questo utilizzo vengono pagati non indifferenti canoni di locazione.
Ecco alcuni quesiti, la cui risposta sarà cercata nella nuova legge di riordino, ma soprattutto nella concreta gestione del sistema sanitario:
· La politica saprà abbandonare i criteri di spartizione e di gestione clientelare del sistema sanitario?
· La “radicale innovazione organizzativa” sarà in grado di approntare una offerta più razionale dei servizi sul territorio?
· Le disposizioni patrimoniali sapranno tradursi in buona gestione del patrimonio immobiliare residuo?
· L’accreditamento del privato (sproporzionato nella nostra regione rispetto al resto d’Italia) sarà rivisto alla luce della effettiva qualità dell’offerta?
· Il Piano sanitario regionale sarà finalmente approvato, dopo l’ultimo scaduto 7 anni addietro?
· Il controllo regionale saprà rilevare la effettiva capacità di risposta ai bisogni di salute senza lasciarsi incantare dalle dichiarazioni di obiettivi raggiunti?
Vogliamo concludere questa prima lettura della presentazione della legge di riordino evidenziando una nota positiva che chiude l’articolo citato: “Sarà garantita l’assistenza sanitaria a tutti i cittadini che si trovino sul territorio regionale senza distinzione di sesso, razza, lingua e religione senza che ciò implichi alcun tipo di segnalazione all’autorità. La legge prevede anche che le aziende devono conseguire risparmio energetico mediante l’utilizzazione di fonti rinnovabili”.
Speriamo bene!!!
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