Il loro programma è lo stesso del manzoniano conte Attilio: “Veda vostra Paternità, son cose (…) da finirsi tra di noi, da seppellirsi qui, cose che a rimestarle troppo … si fa peggio. (…) Sopire, troncare, padre molto reverendo: troncare, sopire.” (I promessi sposi, cap. XIX).
Chi, però, in questa processione, ha tenuto un ruolo preminente, sono stati un certo numero di rappresentanti del mondo intellettuale che, in nome del tanto sbandierato pluralismo, hanno pontificato per una intera settimana dalla seconda pagina de La Sicilia, protestando per la cattiva immagine della città che era venuta fuori dalla trasmissione ma soprattutto per l’onta arrecata all’editore-direttore del giornale che li ospitava. Non ci hanno meravigliato gli interventi di Campo e Buttafuoco, Castiglione e Stancanelli, che sembravano più che altro atti dovuti, quanto quelli di Barcellona e Iachello, che non hanno esitato ad accodarsi.
A parte qualche puntigliosa sottolineatura delle imprecisioni contenute nel servizio, le contestazioni sembravano riguardare non tanto il merito delle questioni sollevate, sbrigativamente bollate come “insinuazioni”, quanto il fatto stesso che fossero spiattellate davanti al muso di mezzo mondo.
E poi, le argomentazioni usate non brillavano certo per coerenza. Iachello, ad esempio, ha liquidato la questione della mancata pubblicazione a Catania dell’edizione regionale de La Repubblica, sostenendo che non c’è mercato per un altro giornale. Non è certo una buona notizia per i tantissimi studenti che ogni anno si iscrivono al corso di laurea in Scienze della comunicazione della Facoltà che lui stesso presiede. Se poi si tiene conto che nel nostro Ateneo esistono altri due corsi di laurea analoghi (uno a Scienze politiche – a Caltanissetta – e uno a Lingue) la situazione diventa tragicomica. Tutti e tre ogni anno producono centinaia di laureati che, naturalmente, sono destinati alla sottooccupazione o, se proprio insistono, all’emigrazione (non alla fuga come hanno notato molti interventi, facendo finta di scandalizzarsi).
E perchè allora, piuttosto che pagare come Università a Ciancio un bel gruzzolo di euro a fondo perduto per una pagina settimanale inutilmente autocelebrativa, non utilizzare gli stessi denari per incrementare due esperienze ben riuscite di giornalismo studentesco come Step 1 e Radio Zammù, per le quali invece circolano voci insistenti di rischio di chiusura? Forse perchè, nel loro piccolo, mettono a rischio il monopolio e, con la loro autonomia, disturbano il “conducente”?
Barcellona, poi, soprattutto nel secondo intervento, ha cominciato a prendersela con “la subalternità interessata e opportunistica delle nostre classi dirigenti, universitarie, culturali, economiche e politiche” che non avrebbero mosso un dito per modificare l’andazzo delle cose. Ma, scusi, lei finora di quale fra queste corporazioni ha fatto parte? Abita forse in via della Luna, stella n. 7? O pensa di tirarsi fuori dalla mischia superando, come è solito fare, tutti a sinistra, e chiedendo retoricamente di trasformare una semplice inchiesta giornalistica in un serial televisivo?
E poi, come fa ad assimilare Ciancio a Scalfaro e Mieli, tacendo degli enormi interessi imprenditoriali, perfettamente collaterali a quelli editoriali, che il nostro Direttore coltiva con amorevolezza e grande spirito di dedizione in questa “sua” (?!) Catania, come ha puntualmente ricordato Castiglione.
Continuando di questo passo, non ci meraviglieremmo se, tra qualche settimana, il giornale locale se ne uscirà con un titolone in prima pagina: DISASTRO CATANIA. INCRIMINATA LA GABANELLI!
In fondo, penseranno i catanesi, è andata a cercarsela.
Ma, dopo la minacciata azione giudiziaria da parte di Ciancio e l’apertura di inchieste da parte della Procura, la storia promette comunque un seguito di altre emozionanti puntate.
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