Tratto da: L’Isola Possibile, maggio 2008, Renato Camarda, Il far west degli ipermercati
850mila, 700mila, 650mila. No, non parliamo di vecchie lire. Le prime due cifre indicano, in metri quadrati, il suolo pubblico occupato dagli Ipermercati in Sicilia e a Catania, la terza quello che, sempre nella provincia etnea, sarà utilizzato dai centri commerciali attualmente in costruzione. Certo, siamo ancora lontani dall’impetuoso sviluppo del centro e del nord Italia, ma solo in Sicilia oltre l’80% degli esercizi è concentrato in un’unica zona.
Rinasce la Milano del sud, seppure attraverso la discutibile via delle cattedrali del consumo, o si tratta dell’ennesima pericolosa anomalia?
Guardiamo i dati. Su otto grandi centri commerciali in funzione almeno cinque denunciano significative difficoltà (cali di fatturato, cassa integrazione, bassi livelli di affluenza). Dei quattro in costruzione solo per uno, sinora, è prevista la firma in prefettura dei “protocolli di legalità” (che impegnano la società a rispettare le norme sulla sicurezza e i contratti di lavoro). In due le autorizzazioni per i lavori sono frutto di varianti o proroghe. L’ultimo più che un ipermercato sembra un esercizio commerciale orientato, per lo più, ad offrire attività di svago e divertimento.
A fronte di una redditività quantomeno discutibile, è lecito cercare altre spiegazioni sulla proliferazione degli ipermercati. E’ interessante, per esempio, notare che, in seguito a varianti d’uso e autorizzazioni a costruire, alcuni terreni agricoli, spesso proprietà dei soliti noti, hanno centuplicato il loro valore. O che il miraggio di tanti nuovi posti di lavoro, almeno nel medio periodo, ha fatto da collante fra esigenze dei politici (aumento delle clientele) e degli imprenditori (facilitazioni nelle concessioni delle autorizzazioni). Infine, come non pensare – in Sicilia – al ruolo della mafia, rispetto alle estorsioni e al riciclaggio del denaro sporco?
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