Riflessioni sulla facoltà dei veleni – 2

Esaminiamo i contenuti del memoriale del giovane ricercatore Patané, morto di tumore al polmone a 23 anni, nel 2003. Proveremo ad illustrarne il significato in termini non specialistici ed a confrontare quanto denunciato con quanto previsto dalla norme di legge vigenti, in quegli anni, in tema di sicurezza ed igiene del lavoro. La copia del memoriale che utilizziamo è quella reperibile sul WEB all’indirizzo: http://www.lavalledeitempli.net/libera-informazione/memoriale-di-un-ricercatore restando inteso che anche la validità delle nostre considerazioni é subordinata agli accertamenti della magistratura sulla veridicità delle affermazioni in esso contenute. Anche se le agenzie di stampa parlano di 15 morti, tutti al di sotto dei 30, anni per tumore ai polmoni o leucemia, in 10 anni e oltre 20 ammalati tra studenti e ricercatori, noi non ne terremo conto.
Ci limiteremo ad analizzare le condizioni di igiene e sicurezzza del lavoro descritte nel memoriale. « Ho frequentato il corso di dottorato di ricerca in Scienze Farmaceutiche di durata triennale, novembre 1999-ottobre 2002, presso il dipartimento di Scienze Farmaceutiche…. Ho iniziato a lavorare in laboratorio nell’aprile del 2000. Mi hanno diagnosticato un tumore nel polmone destro nel luglio 2002. Durante il corso di dottorato, trascorrevo generalmente tra le otto e le nove ore al giorno in laboratorio, per tutta l’intera settimana escluso il sabato. »
I tempi di esposizione agli inquinanti per un ricercatore sono uguali o superiori a quelli di un operaio di una industria chimica. Vanno quindi applicate le stesse norme e le stesse concentrazioni ammissibili. « Il laboratorio è un locale di circa 120 metri quadri. Il laboratorio è dotato di tre porte che immettono verso l’esterno e di una porta che immette in un corridoio ed anche da tre finestre non apribili, che sono state sostituite con delle finestre nuove ed apribili all’incirca nel febbraio del 2002. Nel laboratorio non vi è un sistema di aspirazione e filtrazione idoneo, infatti si avvertivano sempre odori sgradevoli, tossici e molto fastidiosi, spesso eravamo costretti ad aprire le porte in modo da far ventilare l’ambiente
Il DPR 303/56, Norme generali per l’igiene del lavoro, oltre mezzo secolo fa, prescriveva: ART. 9 – Areazione dei luoghi di lavoro chiusi 1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro …., ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di areazione. 2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, …
Nei laboratori il ricambio con aria fresca dovvrebbe essere di 6-8 volumi/ora. Se l’aerazione è inadeguata bastano piccole quantità di sostanze volatili per raggiungere concentrazioni superiori a quelle ammissibili. Facciamo l’esempio per il benzolo, uno dei solventi volatili impiegato (non il più tossico né il più volatile).
La concentrazione massima ammissibile nell’aria (TLV) è di 4 mg/mc. Per raggiungere questa concentrazione nel laboratorio (volume di circa 500 metri cubi) ne bastano appena 2 grammi, meno di mezzo cucchiaio. Ma le quantità di solventi volatili evaporate, e le loro concentrazioni nell’aria, erano sicuramente molto maggiori.
Vediamo perchè: « Tutti i solventi di rifiuto, cioè quelli che erano stati utilizzati per le reazioni chimiche e per tutte le altre operazioni annesse, venivano posti in dei contenitori in plastica (generalmente da 30 litri) che restavano in laboratorio fin quando si riempivano. Questi contenitori con tutti i solventi e le sostanze di rifiuto venivano posti a terra e al di fuori delle cappe di aspirazione. Quindi, ogni volta che si aprivano questi contenitori per versarvi i solventi di rifiuto, venivano fuori vapori sgradevoli e sicuramente notevolmente tossici e nocivi, che eravamo costretti a sopportare perché i contenitori si trovavano a terra e non vi era nessun sistema di aspirazione e filtrazione. Ma nel laboratorio si accumulava in fustini da 15-20 litri il benzolo usato negli esperimenti e numerosi altri recipienti con altri solventi volatili. » Da ciascun recipiente evaporava il contenuto indipendentemente dagli altri e l’effetto è in questi casi cumulativo.
La situazione cui si può arrivare in assenza di ventilazione adeguata può essere ben peggiore: Poichè l’evaporazione delle sostanze volatili non si ferma quando si raggiungono i TLV, le concentrazioni ammissibili, ma continua fino a che non si raggiungano le rispettive concentrazioni di saturazione dell’aria.
Cioè l’evaporazione può continuare fino a valori migliaia di volte  più elevati di quelli ammissibili. (E’ il motivo per il quale non è bene tenere fustini di benzina nei locali chiusi, la concentrazione di idrocarburi nell’aria può raggiungere quella di infiammabilità e provocare esplosioni quando si gira un l’interruttore.)
La necessità di aprire le porte per poter resistere all’interno del laboratorio indica una concentrazione di vapori elevatissima: l’aria diventa irrespirabile quando la concentrazione di vapori si avvicina o supera l’ 1% (= 10.000 ppm) Come vedremo più avanti, questa situazione era infatti ulteriormente aggravata dal fatto che gran parte delle operazioni si facevano fuori dalle cappe, direttamente sui banconi.
Sempre la stessa norma citata prima, mezzo secolo fa prescriveva: Art. 18  – Difesa dalle sostanze nocive ,…, Le materie in corso di lavorazione che siano fermentescibili o possano essere nocive alla salute o svolgere emanazioni sgradevoli, non devono essere accumulate nei locali di lavoro in quantità superiore a quella strettamente necessaria per la lavorazione . La stessa prescrizione è ripetuta in tutte le norme successive fino ai nostri giorni.
Proseguiamo nella lettura « Nel laboratorio c’erano due cappe di aspirazione antiquate che non aspiravano in modo sufficiente e adeguato. Quindi lavorare sotto le cappe di aspirazione era lo stesso che lavorare al di fuori di esse. Infatti una di queste cappe subito dopo la diagnosi della mia malattia, cioè circa nel luglio 2002, è stata sostituita con una nuova e quindi funzionante. […………….] In laboratorio le reazioni chimiche e tutte le altre operazioni che ne conseguono, come operazioni di separazione (come cromatografie), filtrazione, miscelamento di sostanze chimiche, concentrazione di solventi (mediante rotavapor) ecc… venivano effettuate utilizzando: acetato d’etile, cloroformio, acetonitrile, diclorometano, trietil-ammina, cloroetilisocianato, metanolo, cicloesano, n-esano, benzene, toluene e molte altre. Quasi tutte le reazioni chimiche, le operazioni di concentrazione e le colonne cromatografiche di separazione, dove spesso vengono utilizzati solventi notevolmente tossici, venivano effettuati nel laboratorio sui banconi. Anche tutte le reazioni chimiche dove venivano utilizzati reattivi molto nocivi venivano eseguiti sui banconi, e quindi fuori dalle cappe di aspirazione. Venivano concentrati mediante l’utilizzo di un macchinario, il rotavapor, solventi molto tossici come il toluene, il benzene ecc.. quindi tutte le reazioni precedentemente elencate venivano eseguite in un laboratorio sprovvisto di un sistema di aspirazione e filtrazione adeguato ed idoneo, questo spiega perché nel laboratorio c’era sempre un odore sgradevole, nocivo e nauseante che spesso diventava insopportabile. »
Citiamo sempre la norma più vecchia in proposito, senza far ancora riferimento a quelle più recenti Art. 20 – DPR 303/56 DIFESA DELL’ARIA DAGLI INQUINAMENTI CON PRODOTTI NOCIVI Nei lavori nei quali si svolgono gas o vapori irrespirabili o tossici od infiammabili, ed in quelli nei quali si sviluppano normalmente odori o fumi di qualunque specie il datore di lavoro deve adottare provvedimenti atti ad impedirne o a ridurne, per quanto è possibile, lo sviluppo e la diffusione. L’aspirazione dei gas, vapori, odori o fumi deve farsi, per quanto è possibile, immediatamente vicino al luogo dove si producono . […]. …. Sempre operando fuori dalle cappe.
E’ persino difficile credere a quanto descritto con tanti dettagli. Situazioni come quelle descritte sarebbero inaccettabili nel laboratorio della più scalcinata azienda produttiva, sono inconcepibili in una struttura universitaria. Questo modo di operare da quando andava avanti ? Fino a quando è continuato ? quale è il tasso di incidenza di malattie riconducibli a quelle condizioni di lavoro fra i ricercatori degli anni precedenti e quelli degli anni successivi ?
Stando al memoriale sembrerebbe che la sicurezza delle condizioni di lavoro fosse l’ultima delle preoccupazioni per i vertici dell’Università e quindi sarebbe legittimo temere che un tale andazzo fosse (sia ?) generale. Ed allora viene spontaneo chiedersi se, anche presso altri istituti, la prevenzione non sia un optional e che il tasso di incidenza di patologie riconducibili alle condizioni igieniche non sia anormalmente elevato anche fra ricercatori di altri dipartimenti.Non dovrebbe essere difficile per la magistratura predisporre delle indagini epidemiologiche mirate.
Nell’incontro pubblico del 17 dicembre 2008 un ricercatore ha detto che, dopo la chiusura del laboratorio di farmacologia, alcune ricerche ed esperimenti sono stati distribuiti presso altri laboratori. Ci auguriamo che, a causa dell’improvvisazione delle sistemazioni alternative, non vengano riprodotte situazioni di inquinamento e di rischio analoghe a quelle sinora descritte, che venga prodotto un Documento di Valutazione dei Rischi e che sia portato a conoscenza del RLS, come richiesto dalle norme. [continua  nella parte 3…]

mariagrazia

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